letterina 20090913

L'affondo

 

Lettera ai cercatori di Dio


Iniziamo a leggere alcuni passaggi della lettera inviata dai Vescovi Italiani

I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

 

3.4 La dignità di chi lavora e la festa


Tra domande e risposte che toccano il lavoro e la nostra responsabilità verso gli altri e verso il creato, trova collocazione un’esigenza che è ormai patrimonio di quasi tutta l’umanità, almeno sul piano teorico. La tradizione cristiana la sottolinea con forza: è l’esigenza del riposo e della festa.
Sì, c’è un modo concreto per esprimere la dignità di chi lavora: sospendere l’attività lavorativa con il riposo settimanale, a somiglianza di Dio che, dopo avere creato il mondo, si riposò. L’uomo partecipa al lavoro e al riposo di Dio: entrambi sono per lui una benedizione e un dono, fecondi di vita e necessari per affermare la dignità della persona umana.
Il riposo settimanale non ha solo lo scopo di far recuperare le forze fisiche, al fine di lavorare di più e meglio nei giorni seguenti: questo sarebbe il riposo dello schiavo. Riposare e celebrare la festa sono espressione della "libertà" dell’essere umano, esperienza di comunione in famiglia e di incontro fraterno nella comunità, possibilità di ravvivare la relazione con la natura. Per i cristiani il riposo e la festa domenicali sono in modo particolare partecipazione alla vita del Signore Risorto, anticipazione e pregustazione della vita futura nella comunità radunata nel suo nome. Partecipando all’Eucaristia domenicale i cristiani sono chiamati a liberarsi dall’idolatria del denaro, del possesso, del lavoro ossessivo e a crescere nella sobrietà e nella solidarietà con i più deboli.
Certo, è più facile dirlo che farlo. La realtà sociale e la trama intricata in cui essa si svolge, esige da tanti uomini e donne una disponibilità che non consente giorni vuoti o tempi rigidi. La festa e il riposo restano per molti un’aspirazione, troppo lontana per essere sperimentata. Ma non è giusto rassegnarsi e non ci aiuta a crescere in umanità constatare le esigenze, senza venirvi incontro e immaginare alternative. Dobbiamo cercarle insieme, mettendo a frutto fantasia, amore, competenza e responsabilità. In questa ricerca tutti siamo chiamati a collaborare, perché la posta in gioco riguarda tutti. E lo sguardo della fede ci è di grande aiuto.

 

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letterina 20090906

L'affondo

 

Lettera ai cercatori di Dio


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I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

 

3. 3 LAVORO E FESTA


Problemi e sfide


Nel mondo  del lavoro, però, non mancano le contraddizioni e i problemi: "Va bene lavorare - osserva qualcuno - ma con questi ritmi e con questa tensione non c’è più tempo né per me, né per la mia famiglia". Molti giovani sono costretti a constatare: "Dicono che ogni uomo ha diritto a un lavoro, ma da tempo non riesco a trovare un’occupazione che mi dia garanzie". Non è facile  trovare le parole adeguate per confrontarsi con queste sfide. Del resto, le parole da sole non bastano. Ci vogliono fatti. Quali? Come possiamo produrre fatti nuovi in un contesto sociale quale è quello che spesso sperimentiamo, dove valgono regole e dominano logiche, che tante volte calpestano la dignità della persona umana e il suo diritto al lavoro? Non è difficile constatare come, purtroppo, la cultura occidentale abbia messo alla base dell’idea del lavoro una prospettiva economicistica e materialistica, che finisce con il riservare il primato al denaro. Questo è uno dei più gravi errori del nostro tempo, da cui deriva un principio perverso nella vita sociale: avere sempre di più, secondo la logica per cui la ricchezza deve produrre nuova ricchezza e bisogna perciò tendere sempre al massimo profitto. Una delle conseguenze più tragiche è sotto gli occhi di tutti: uno sviluppo squilibrato, che crea diverse velocità di crescita, per cui i popoli ricchi diventano sempre più ricchi e i popoli poveri sempre più poveri.
Questa disparità va accentuandosi anche tra le componenti di una stessa comunità.
Non tutto, però, è così. A uno sguardo attento si offrono certamente non poche realizzazioni positive, che rassicurano il nostro impegno e alimentano la nostra speranza.
Possiamo dirlo con consapevolezza proprio guardando al nostro popolo, ricco di tante persone impegnate e coraggiose, che hanno saputo trasformare le terre più aride e rendere i contesti di produzione più difficili luoghi di umanità benestante, promuovendo la qualità della vita di tutti. Tanto però resta ancora da realizzare. Siamo consapevoli che molto di quello che c’è da fare riguarda la direzione e il senso del nostro impegno, la qualità del nostro lavoro e dell’ambiente in cui esso si svolge, la sicurezza che prevenga ogni possibile danno ai lavoratori. Abbiamo tutti domande inquietanti e possediamo frammenti di risposte concrete. Condividendo le une e le altre, possiamo progettare un futuro forse più felice del presente, da condividere come protagonisti.

 

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letterina 20090830

L'affondo

 

Lettera ai cercatori di Dio


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I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

 

 

3. 2 LAVORO E FESTA
Quanti riconoscono orizzonti più alti di quelli che costruiamo con le nostre mani e collocano, in qualche modo, il riferimento a Dio creatore nella loro esperienza quotidiana, individuano un’ulteriore ragione del lavoro umano. A noi pare importante e offre un respiro di speranza alla nostra fatica, anche se ci rendiamo conto di quanto questa visione possa essere esigente: mediante il lavoro l’uomo collabora con Dio nel portare a termine la creazione. Lo riferisce una delle prime pagine della Bibbia. Dopo aver creato il mondo, Dio comanda all’uomo e alla donna: "Riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo..." (Genesi 1,28). Soggiogare la terra vuol dire prendere possesso dell’ambiente e governarlo, rispettando l’ordine posto in esso dal Creatore e sviluppandolo a proprio vantaggio, per soddisfare i bisogni propri, della famiglia e della società. In questo consiste l’impresa della scienza e del lavoro per umanizzare il mondo, al fine di farne la dimora dell’uomo, una casa di giustizia, di libertà e di pace per tutti.
Quando Dio ha creato il mondo, non lo ha creato compiuto: la creazione non è finita. L’uomo ha preso possesso lentamente della terra, forgiandola, adattandola alle sue esigenze, sviluppando le potenzialità del creato per il suo bene e per la gloria di Dio. In modo particolare oggi stiamo assistendo a trasformazioni impensabili fino a pochi decenni fa. Esse ci fanno vedere come l’uomo abbia capacità sconfinate, di cui sono strumento le nuove tecnologie. Non siamo  però padroni del creato. Dobbiamo collaborare con Dio nel portarlo a compimento, rispettando la natura e le leggi insite in essa. Dio ci ha affidato il creato, perché potessimo custodirlo e perfezionarlo, non per sfruttarlo e manipolarlo a nostro piacimento. Ce lo ricorda ancora il libro della Genesi:  "Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse"  (2,15). Il lavoro  - vissuto in condizioni rispettose della giustizia e della dignità umana, oltre che dell’ambiente affidatoci dal Creatore - è la via in cui l’uomo realizza questo compito.

 

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letterina 20090823

L'affondo

 

Lettera ai cercatori di Dio


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I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

3. LAVORO E FESTA


Il lavoro è un diritto e una responsabilità. Nel lavoro entrano in gioco la nostra dignità di persone, il senso e la qualità della nostra vita, l’esercizio quotidiano della nostra relazione con gli altri. Ne siamo convinti e non abbiamo bisogno che qualcuno ce lo ricordi. Guardiamo con senso di preoccupazione e di rimprovero le persone che hanno poca voglia di lavorare.
Percepiamo la difficoltà e perfino il dramma di chi non riesce a trovare lavoro. La negazione del diritto al lavoro, di cui soffrono ancora tante donne e uomini di questo tempo, specialmente fra i giovani, non può lasciarci indifferenti.
Come discepoli di Gesù, il Figlio di Dio che "ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo" (Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22), riconosciamo al lavoro una grande dignità, un significato profondo. Vogliamo perciò interrogarci insieme sul suo significato, per comprendere meglio questa dimensione importante della nostra esistenza e le attese che essa porta con sé.

Perché il lavoro?

Per il lavoro impegniamo la maggior parte della nostra esistenza. Se perdiamo il senso del lavoro, perdiamo il senso stesso della nostra vita. Veniamo da esperienze e da modelli di tessuto sociale in cui il lavoro era gravato da condizioni disumane: dannoso alla salute, carico di pericoli, segnato da orari insopportabili, pagato in nero. Oggi, certamente, molte cose sono cambiate, anche se non sempre e non per tutti.
Affiorano però problemi nuovi, connessi alla globalizzazione, alla delocalizzazione, alla concorrenza, alle difficoltà delle imprese, alle ricorrenti crisi economiche. È cresciuto il livello medio della ricchezza, ma nel contempo si sono allargate le aree della povertà e dell’emarginazione. La forte innovazione tecnologica ha spesso determinato nel lavoratore insicurezza sul suo posto di lavoro e incertezza sul destino della sua professionalità. Ne deriva una sete di giustizia e di dignità, sempre più diffusa ed esigente. In quali condizioni lavorare, per non diventare schiavi del lavoro e perché in esso si esprima la nostra dignità di persone? Ce lo chiediamo con l’ansia di chi non si accontenta di parole e riconosce di affrontare questioni vitali, personali e sociali. Non viviamo per lavorare, ma lavoriamo per vivere. Non lavoriamo per fare soldi - o almeno non dovremmo farlo solo per questo -, lavoriamo per vivere dignitosamente. Non lavoriamo solo per noi, ma per far vivere coloro che non sono ancora in grado di lavorare, i bambini, e coloro che non possono più lavorare, gli anziani. Il lavoro deve servire a realizzare la nostra dignità di persone. Non è una merce che si compra e si vende, ma un’attività umana libera e responsabile.
La crescita in consapevolezza e in responsabilità ci ha aiutato a scoprire un’altra ragione del nostro lavoro:
lavoriamo per il benessere della collettività e dell’umanità in generale. In tal senso, il lavoro è un obbligo morale verso il prossimo: in primo luogo verso la famiglia, poi verso la società a cui si appartiene, la nazione di cui si è cittadini, l’intera famiglia umana. Noi siamo eredi del lavoro delle generazioni che ci hanno preceduto e insieme costruttori del futuro di coloro che vivranno dopo di noi.

 

 

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letterina 20090816

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I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

2. b Rinascere sempre di nuovo nell’amore


Abbiamo cercato parole per dire il nostro amore, quello che ci fa nascere, vivere e  sperare. Abbiamo dovuto usare parole amare, come delusione, fallimento, tradimento, incertezza, chiusura, egoismo. Non tutto è così, per fortuna.
La nostra esperienza di amore sa rinascere. Parliamo di fallimento proprio perché sogniamo esperienze diverse. Sogniamo esperienze nuove perché altri, amici vicini o sconosciuti, ci restituiscono fiducia nell’amore e sicurezza nella sua vittoria, nonostante tutto.
Davvero lo scontro tra amore e tradimento mette la nostra esistenza in una condizione di inquietudine, che scopriamo sempre presente e nuova, anche quando ci sembra d’averla superata e risolta. Nel silenzio del nostro cuore inquieto troviamo una domanda che avvolge tutto il mistero del nostro esistere e che si proietta in avanti, anche quando sperimentiamo risposte che sembrano soddisfacenti.
Soprattutto deve diventare veramente nostra la risposta che ognuno di noi darà a questa domanda.
Ciascuno è chiamato a esprimerla nella sua storia personale e a dire a se stesso le sue buone ragioni per amare e superare le resistenze ad amare a partire dal proprio vissuto. La solidarietà che ci lega ci spinge però a rompere il silenzio per farci ciascuno proposta agli altri.
Sì: c’è in noi un immenso bisogno di amare e di essere amati. Davvero, "è l’amore che fa esistere" (Maurice Blondel). È l’amore che vince la morte: "Amare qualcuno significa dirgli: tu non morirai!" (Gabriel Marcel). Eugenio Montale esprime intensamente questo bisogno, che è insieme nostalgia, desiderio e attesa, nei versi scritti dopo la morte della moglie, dove è proprio l’assenza della persona amata a far percepire l’importanza dell’amore, che vive al di là di ogni fragilità e interruzione:
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.

In questo bisogno di rinascere sempre di nuovo nell’amore ci sembra riconoscibile una nostalgia: quella di un amore infinito...

 

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letterina 20090809

L'affondo

 

Lettera ai cercatori di Dio


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I LE DOMANDE CHE CI UNISCONO

2a.  Amore e Fallimenti

Siamo fatti per amare. L’amore dà la vita e vince la morte: "Se c’è in me una certezza incrollabile, essa è quella che un mondo che viene abbandonato dall’amore deve sprofondare nella morte, ma che là dove l’amore perdura, dove trionfa su tutto ciò che vorrebbe avvilire, la morte è definitivamente vinta" (Gabriel Marcel). Ne siamo consapevoli, anche quando le parole che pronunciamo e i fatti di cui è intessuta la nostra esistenza non sono in grado di esprimere quello che abbiamo  intuito e che desideriamo. Ci  fanno paura le persone aride, spente nella voglia di amare e di essere amate. L’amore è  irradiante, contagioso, origine prima e  sempre nuova della vita. Per amore siamo nati. Per amore viviamo. Essere amati è gioia. Senza amore la vita resta triste e vuota. L’amore  è  uscita  coraggiosa  da  sé, per andare  verso  gli  altri  e accogliere  il  dono  della  loro diversità  dal nostro  io,  superando nell’incontro  l’incertezza  della nostra  identità  e  la  solitudine delle nostre sicurezze.


Imparare ad amare


Quella dell’amore è la storia più personale della nostra esistenza. Riconosciamo i percorsi e proclamiamo  gli  eventi  che  la  punteggiano. Ma  ci  troviamo  spesso  affaticati,  stanchi,  sollecitati a fermarci al bordo della strada a causa di delusioni e incertezze. Riconosciamo che nella via dell’amore c’è sempre una provenienza, un’accoglienza e un avvenire. La provenienza è l’uscire da sé nella generosità del dono, per la sola gioia di amare: l’amore nasce dalla gratuità o non è. L’accoglienza è il riconoscimento grato dell’altro, la gioia e l’umiltà del lasciarsi amare. L’avvenire è il dono che si fa accoglienza e l’accoglienza che si fa dono, l’essere liberi da sé per essere uno con l’altro  e nell’altro,  in  una  comunione  reciproca  e aperta agli  altri,  che  è  libertà. Tutto  questo  è difficile. Mille ostacoli attraversano il cammino e spesso lo bloccano. Basta uno sguardo al mondo dei  rapporti umani, per constatare  l’evidenza di  tanti  fallimenti dell’amore, un’evidenza che appare perfino chiassosa e  inquietante. Siamo  fatti per amare e  scopriamo quasi di non esserne capaci. Originati dall’amore, ci sembra tanto spesso di non saper suscitare amore. Perché? Ce lo chiediamo quando  la nostalgia di esperienze di amore  intense e  limpide attraversa la nostra esistenza e colora  i nostri sogni. Qualcuno, raccogliendo  le parole dalla sua esperienza, suggerisce ragioni e prospettive di questa  fatica di amare,  tutte, comunque, da verificare  in prima persona.
Sono la possessività, l’ingratitudine e la tentazione di catturare l’altro le forme che più comunemente paralizzano il cammino dell’amore. La possessività paralizza l’amore perché impedisce il dono, bloccando  il cuore  in un avido e  illusorio accumulo di ricchezza per sé. L’ingratitudine è l’opposto  della  riconoscenza gioiosa.  Impedisce  l’accoglienza  dell’altro  e  impoverisce  l’anima, perché dove non c’è gratitudine, il dono stesso è perduto. La cattura è frutto della gelosia, e insieme  della  paura  di  perdere  l’istante  posseduto:  in  una  sorta  di  sazietà  illusoria  essa  chiude  lo sguardo verso gli altri e verso l’avvenire. Come superare queste resistenze? Come divenire capaci di amare oltre ogni possessività, ingratitudine e prigione del cuore? Chi ci renderà capaci di amare?


 

 

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