letterina 20100214

L'affondo

Il lupo alla porta della ferita

Il nostro cuore e il nostro spirito fanno così presto a credere di avere ragione! E’ così difficile accettare di avere torto, e non solo, ma che ci siano anche delle persone che amiamo e altre che non amiamo.E nascono dentro di noi dei sentimenti che spesso ci si rifiuta di riconoscere. La collera, l’odio, l’angoscia, il rifiuto dell’altro. E’ la scoperta del lupo che è in noi. Nel più intimo di noi stessi abbiamo una parte molto vulnerabile, quella legata all’amore e alla tenerezza, una parte che facilmente viene ferita. Fin dalla prima infanzia abbiamo creato dei meccanismi di difesa nei confronti della vita relazionale.
Si desidera la relazione e nello stesso tempo la si teme. Se ti avvicini troppo a me rischi di violare la mia intimità, diventi un pericolo per me. Se ti allontani troppo da me, se non mi saluti più quando ti incontro per la strada, mi fai stare male.
L’amore è nello stesso tempo ciò che più cerco e ciò che più temo. Viviamo tutti questo mistero del cuore umano che ha sete e che ha paura. Così abbiamo costruito ogni sorta di protezione attorno al nostro cuore. Abbiamo messo il lupo, la nostra aggressività, alla porta della nostra ferita e della nostra vulnerabilità.
Ma il lupo può rivoltarsi contro di noi e allora cadiamo nella depressione. Ci colpevolizziamo perché ci sentiamo dei buoni a nulla, nessuno può amarci e nello stesso tempo ci sentiamo incapaci di amare. Allora tutte le forze di aggressione si ritorcono contro di noi.
Conoscere se stessi, il modo con il quale si agisce e si reagisce, significa diventare saggi e avere la possibilità di crescere attraverso alcuni passaggi : dall’egoismo e dal litigio all’amore e all’unità, il passaggio dalla paura alla fiducia, il passaggio dalla vanagloria alla gloria di Dio.
Veniamo presi facilmente dalla paura: la paura del lupo, la paura dei nostri conflitti. Abbiamo paura dell’avvenire, paura dell’insicurezza, paura di perdere la nostra libertà, di non essere amati, paura di ciò che gli altri pensano di noi, paura del fallimento, della sofferenza, della morte. Tutte queste paure viscerali rischiano di governare la nostra vita. Non è facile trasformarle in fiducia. Per diventare essere trasformati bisogna fare delle scelte. 

Jean Vanier: Lettera della tenerezza di Dio

 

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letterina 20100207

L'affondo

Messaggio XXXII giornata per la vita

Chi guarda al benessere economico alla luce del Vangelo sa che esso non è tutto, ma non per questo è indifferente. Infatti, può servire la vita, rendendola più bella e apprezzabile e perciò più umana. ...Una certa sicurezza economica costituisce un’opportunità per realizzare pienamente molte potenzialità di ordine culturale, lavorativo e artistico.  Avvertiamo perciò tutta la drammaticità della crisi finanziaria che ha investito molte aree del pianeta: la povertà e la mancanza del lavoro che ne derivano possono avere effetti disumanizzanti.
La povertà, infatti, può abbruttire e l’assenza di un lavoro sicuro può far perdere fiducia in se stessi e nella propria dignità. Si tratta, in ogni caso, di motivi di inquietudine per tante famiglie. Molti genitori sono umiliati dall’impossibilità di provvedere, con il proprio lavoro, al benessere dei loro figli e molti giovani sono tentati di guardare al futuro con crescente rassegnazione e sfiducia.  
Proprio perché conosciamo Cristo, la Vita vera, sappiamo riconoscere il valore della vita umana e quale minaccia sia insita in una crescente povertà di mezzi e risorse...Il benessere economico,  non è un fine ma un mezzo, il cui valore è determinato dall’uso che se ne fa: è a servizio della vita, ma non è la vita... Ogni vita, infatti, è degna di essere vissuta anche in situazioni di grande povertà... Del resto, tutti conosciamo persone povere di mezzi, ma ricche di umanità e in grado di gustare la vita, perché capaci di disponibilità e di dono. Anche la crisi economica che stiamo attraversando può costituire un’occasione di crescita. Essa, infatti, ci spinge a riscoprire la bellezza della condivisione e della capacità di prenderci cura gli uni degli altri. Ci fa capire che non è la ricchezza economica a costituire la dignità della vita, perché la vita stessa è la prima radicale ricchezza, e perciò va strenuamente difesa in ogni suo stadio, denunciando ancora una volta, senza cedimenti sul piano del giudizio etico, il delitto dell’aborto. Sarebbe assai povera ed egoista una società che, sedotta dal benessere, dimenticasse che la vita è il bene più grande...Proprio il momento che attraversiamo ci spinge a essere ancora più solidali con quelle madri che, spaventate dallo spettro della recessione economica, possono essere tentate di rinunciare o interrompere la gravidanza, e ci impegna a manifestare concretamente loro aiuto e vicinanza. Ci fa ricordare che, nella ricchezza o nella povertà, nessuno è padrone della propria vita e tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla come un tesoro prezioso dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale.   

Consiglio dei Vescovi Italiani

 

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letterina 20100131

L'affondo

Dio il vento, io la vela

Lo Spirito di Dio, il vento che in principio aleggiava sugli abissi (Gen 1,2) ancora avvolge l’universo e la storia degli uomini , apre orizzonti al nostro peregrinare, ci dirige e ci invita sempre più al largo.  
Il vento di Dio ci dice che la fede è come un viaggio, sul carro di fuoco di Elia, sulla nave di Giona, o sulla polvere dei sentieri di Palestina, sulle barche di Betsaida...Il vento decreta la necessità e la gioia di prendere il largo verso nuovi mari. Quando Gesù, nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,18-19) presenta la sua missione, usa il termine àphesis, che nel contesto significa liberazione, ma che evoca il movimento da un luogo all’ altro, l’energia che spinge in avanti, l’azione della nave che salpa, della freccia che scocca, della carovana che si avvia: una parola che sa di vento e di futuro, del vento e del futuro che è Dio.
Dio è il vento da cui dobbiamo lasciar riempire le nostre vele. Anzi, essere noi stessi vela che accoglie il vento di Dio, vela che si inarca al suo soffio per prendere il largo nel grande mare della vita, lungo rotte inesplorate, forti della sua parola e vivi della sua vita. Vela colma di vento, uomini di desideri nel grande pellegrinaggio del tempo e dell’eterno, nei "lunghi giorni" in cui ci è dato di "gustare il bene", la vita stessa di Dio.

Ermes Ronchi, Sulle soglie della vita

 

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letterina 20100123

L'affondo

La testimonianza degli sposi

"La celebrazione del matrimonio è punto di arrivo della preparazione precedente, ma anche punto di partenza di un nuovo cammino, nel quale ciò che gli sposi hanno celebrato si dispiega e si concretizza nella loro vita. Perciò, il cammino di formazione delle coppie deve continuare con coraggio e creatività soprattutto nei primi anni di matrimonio, che sono ricchi di risorse, ma anche tra i più difficili e delicati. La pastorale parrocchiale per i giovani sposi domanda, prima di tutto, di riconoscerli e valorizzarli come soggetti responsabili della loro stessa crescita, aiutandoli ad acquisire una consapevolezza sempre più profonda del sacramento celebrato e del nuovo compito assunto nella comunità ecclesiale. La celebrazione eucaristica domenicale dovrà diventare un momento particolarmente significativo dove coltivare tale consapevolezza e rivivere il "sì" del proprio matrimonio. Dal momento che la proposta formativa ai giovani sposi è più efficace se li raggiunge personalmente, la parrocchia si impegni a ricercare i modi più opportuni per incontrare i giovani sposi, per farli incontrare tra loro, per formare gruppi di giovani coppie con coppie adulte che siano aperti ai bisogni della comunità ecclesiale e della società. Per realizzare queste proposte, la parrocchia può avvalersi delle esperienze già in atto di associazioni e movimenti. Altre utili iniziative pastorali che la parrocchia può promuovere sono: la continuazione dell’esperienza dei gruppi-sposi (o cosiddetti gruppi familiari); incontri periodici su temi riguardanti la vita coniugale cristiana nel suo evolversi; la pratica della confessione, della direzione spirituale e quella di ritiri o di esercizi spirituali a livello parrocchiale, vicariale, diocesano, dove gli sposi possano sperimentare concretamente il dialogo spirituale e la preghiera di coppia; la celebrazione annuale degli anniversari di matrimonio e la celebrazione della giornata parrocchiale per la famiglia; momenti di incontro  fraterno e di sostegno reciproco; iniziative di carità e di apertura graduale all’impegno e alla collaborazione all’interno della comunità ecclesiale, nelle associazioni o cooperative sociali e nelle istituzioni pubbliche territoriali."

[Diocesi di Bergamo, 37° Sinodo, Costituzioni sinodali, n°291]

 

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letterina 20100116

L'affondo

Messaggio del Vescovo per la giornata della scuola

Carissimi,
è con vivo piacere che faccio mia la bella consuetudine del Vescovo Roberto di comunicare con voi - cari studenti, genitori, educatori tutti - per condividere riflessioni e convinzioni sulla straordinaria avventura che si può vivere nella scuola quando al centro dell’azione educativa c’è l’uomo.  "L’educazione è una questione di esperienza: è un’arte e non un insieme di tecniche e chiama in causa il soggetto, di cui va risvegliata la libertà" hanno di recente scritto i vescovi italiani. Nessuno può delegare ad altri la responsabilità educativa: in qualsiasi ambito di vita  - famiglia, scuola, lavoro, parrocchia, oratorio, tempo libero, istituzioni civili, volontariato...- tutti sono chiamati in prima persona ad avere questa consapevolezza e a dare questo preciso indirizzo all’agire quotidiano...  Sappiamo bene che non basta alla maturazione e alla formazione della persona memorizzare informazioni e incamerare conoscenze da restituire a tempo debito, a chi di dovere e nei modi giusti. Occorre invece che insegnanti e ragazzi camminino insieme, alla ricerca delle verità profonde nascoste nelle pieghe della storia, nelle sfide della scienza, nello sviluppo del pensiero umano, nell’intrecciarsi delle discipline. Così  la scuola diventa il mondo, un banco di prova non artificioso, dove i giovani possono sentirsi a casa, accompagnati con premura nella costruzione del senso critico e nell’apertura ai problemi dell’esistenza. Allora il sapere prende vita. In una scuola così orientata anche l’insegnamento della religione cattolica non è un corpo estraneo, qualcosa di aggiuntivo o di marginale rispetto alle altre discipline, ma risulta essere un’occasione privilegiata per la costruzione della propria identità, in un confronto sereno con se stessi e con i propri interrogativi esistenziali, in una rete di relazioni paritarie guidate verso la scoperta dei valori fondamentali. Mi piace pensare a quest’insegnamento come ad un laboratorio attivo, dove la curiosità innata dei ragazzi possa diventare fucina di idee, passione per la verità, trampolino per conquiste interiori. Un laboratorio che apre la possibilità di rispecchiarsi nella storia della nostra terra, della nostra gente, per trovarvi tratti familiari e conosciuti, che sono nostri, che ci appartengono perché la storia siamo noi. Ignorare o tagliare le nostre radici cristiane è come non permettere che la linfa vitale arrivi ai rami di una pianta, è come impoverire il nostro patrimonio genetico mettendo a rischio il futuro. Il profondo rispetto  della persona su cui si fonda l’insegnamento della religione cattolica, apre alla percezione della vita come dono, al mistero che sfugge ai calcoli umani, alla speranza che supera la morte.

+ Francesco Beschi

 

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letterina 20100109

L'affondo

Senza visto

Molti dei suoi primi prodigi erano scherzi di bambini che giocavano a fare i dottori, a salvare la natura curando d’improvviso  lebbre e storpiature.  Erano miracoli, ma non colossali, non inceppò la macchina del cielo come Giosuè che fermò il sole in Gabaòn e la luna sulla valle di Aialòn. Non aprì le acque come Mosè, ma ci camminò sopra senza bagnarsi. Non creò il frutto della vite, ma seppe provvedere, in una festa, a vendemmiare vino dall’acqua. Non creò il sole, il fuoco, né luna, né stelle già create, ma diede vista ai ciechi e questo è un modo di inventare la luce. Non ebbe figli, non procurò una sua discendenza, ma litigò con sua sorella morte e le strappò di mano un corpo già in sepolcro, riportandolo indietro a rivivere, certo, ma anche a rimorire. Fu battezzato in acqua dolce, amò la pesca, frequentò pescatori, ne riempì le reti, placò le ondate di una tempesta sul lago di Tiberiade, che  suoi chiamano Mare di Cetra. Delle scritture sacre preferì Isaia; di Davide gustò più i salmi che le imprese. Discendeva da lui, così vuole la legge del messia. Chiese all’offeso di esporre l’altra guancia, mettendo l’offensore al rischio del ridicolo, ma pure stabilendo un termine alla prova: in numero di due, non più, sono le guance. Non scrisse, non dettò: le sue parole facevano il viaggio delle api sopra i petali aperti delle orecchie. Salvò una donna dalla condanna di lapidazione, chiedendo ai suoi accusatori che il primo di loro, se puro dai peccati, si facesse avanti con la prima pietra. Sapeva che gli uomini tirano volentieri le seconde. Diverse
donne lo seguivano di luogo in luogo alla pari degli apostoli. Non pretese astinenze, il celibato venne dopo, a chiese fatte. Sudò sangue, morì con tutto il corpo resistendo alla morte con nervi, fiato, febbre, piaghe, mosche intorno all’agonia. Resuscitò per intero, carne, ossa e promessa di essere solo il primo dei destinati alla resurrezione. Nascesse oggi, sarebbe in una barca di immigrati, gettato  a mare insieme alla madre in vista delle coste di Puglia o di Calabria. Forse continua a nascere così, senza sopravvivere, e il venticinque dicembre è solo il più celebre dei suoi compleanni. Dopo di lui nessuno è residente, ma tutti ospiti in attesa di un visto. Siamo noi, pasciuti di occidente, la colonna di stranieri in fila fuori all’ultimo sportello.

ERRI DE LUCA

 

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