letterina 20181216

Ma non è ancora Natale!

Là dove troviamo presepi che, non ancora Natale, hanno già la statua di Gesù Bambino (come all’ingresso della Casa di Comunità), il minimo che diciamo è: ”Ma non è ancora nato!”, oppure: ”non è ancora arrivato il 25 dicembre!” Se poi ci sono già i Magi (come nel presepio in chiesa parrocchiale) apriticielo!
Ma è proprio vero che Gesù nasce ogni anno?
Inoltre, un presepio ha senso senza il Bambino? Penso proprio di no.
Gesù è nato 2000 anni fa e non nasce più. Semmai, mentre ci avviciniamo al Natale e sentiamo frasi tipo “lasciar nascere il Signore nel nostro cuore” e utilizziamo espressioni come nascita, venire alla luce, mettere al mondo... è più utile riflettere proprio su questo.
Seguite questi passaggi di una riflessione di Maria Zambrano (filosofa e saggista spagnola)

“L'animale nasce una volta per tutte, l'uomo invece non è mai nato del tutto, deve affrontare la fatica di generarsi di nuovo o sperare di essere generato. La speranza è fame di nascere del tutto, di portare a compimento ciò che portiamo dentro di noi solo in modo abbozzato. In questo senso la speranza è la sostanza della nostra vita, il suo fondo ultimo; grazie ad essa siamo figli dei nostri sogni, di ciò che non vediamo e non possiamo verificare. Affidiamo cosi il compimento della nostra vita a un qualcosa che non è ancora, a un'incertezza. Per questo abbiamo tempo, siamo nel tempo: se fossimo già formati del tutto, se fossimo già nati interamente e completamente, non avrebbe senso consumarci in esso. La speranza dà alla vita umana un carattere angoscioso, le trasmette la sua ansia sempre insoddisfatta, il suo sforzo illimitato, dato che nessuna fatica sufficiente per colmare questa speranza che geme: 'Perché sappiamo che tutte le creature gemono all'unisono e sono gravide ancora adesso', dice san Paolo.
L'uomo ha una nascita incompleta e per questo non si è mai adattato a vivere naturalmente e ha avuto bisogno di qualcosa di più: religione, filosofia, arte o scienza. Non è nato né cresciuto interamente per questo mondo perché non s'incastra perfettamente in esso, e sembra che niente sia predisposto per lui; la sua nascita è incompleta e così il mondo che lo aspetta. Deve dunque finire di nascere interamente e crearsi il proprio mondo, il proprio posto, il proprio luogo, deve incessantemente partorire se stesso e la realtà che lo ospita.”

E se il Natale di Gesù fosse per far nascere continuamente noi?
Davvero la statua del Bambino dobbiamo metterla subito!

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letterina 20181209

Ancora giovani

A volte, per preparare un certificato o una pratica, apro i registri parrocchiali e con uno sguardo d’insieme vedo le diverse annate che hanno fatto la Comunione, la Cresima... Scorrendo i nomi, mi chiedo: quando ho visto l’ultima volta questo ragazzo? Da quando non vedo più a messa questa ragazza? E questi, ormai cresciuti, cosa staranno facendo? So di qualcuno che ha fatto la ragazza, ha trovato lavoro, sta facendo l’Università; li incrocio ad una festa, me ne parla un loro collega di lavoro, ti mandano a salutare... ci pensi, preghi per loro. Sì, perché quella passione con cui li hai seguiti nel tempo della catechesi, nelle celebrazioni, nelle feste dei sacramenti, nel Cre e nella formazione degli animatori, nel camposcuola e nei ritiri... si fa ora domanda: ma quel Signore che la Comunità ha cercato di affidare loro, quel Dio che abbiamo presentato come Padre di misericordia, che si è fatto amico e compagno di strada, ora dove è? E’ mai possibile che, proprio il tempo della giovinezza, tempo di speranza, di futuro, di aperture, di vita, non c’entri più niente con il Signore? E’ mai possibile che facendo la ragazza o il ragazzo uno si chiuda a tutto il resto e non esistano più amici, oratorio, chiesa, incontri? E’ mai possibile che non ci siano parole per portare al Signore la persona che si dice di amare: “ti affido il mio lui, la mia lei, dammi una mano a non prendere in giro o ad usare, ma a volere veramente il bene dell’altro/a”?
Pensavo a queste cose anche nei giorni di con-vivenza, nella Casa di Comunità, con dieci giovani, esperienza partita Domenica scorsa dopo una bella e intensa serata con una ventina di 18-30enni. Certo, anche a quell’ appuntamento pensavo di trovare un po’ più di volti amici, non per fare numero, ma per non perderci di vista, per ascoltare le belle testimonianze di quel protagonismo giovanile che porta alcuni di noi in Malawi a piantare ortaggi e fare case, alla stazione con i senzatetto, alla Comunità Raphael con i terminali di AIDS, al carcere femminile per un torneo di pallavolo o un laboratorio... e non perdere di vista Colui che non si impone ma si propone.
E’ vero ciò che la Conferenza episcopale inglese scrive: ”La Chiesa non può partire da dove i giovani non ci sono per portarli lì dove non vogliono andare. Ma possiamo condurli dal punto in cui si trovano verso dove non avrebbero mai sognato di poter arrivare”. Il problema è che un po’ di aria comunitaria questi giovani l’hanno respirata nei diversi anni, insieme a tempo, dedizione ed energie spese per e con loro. Non sarà allora quello che succede anche nelle famiglie, con tutti gli interrogativi che un papà e una mamma ad un certo punto si pongono per i loro figli? “Dove abbiamo sbagliato? Cosa dovevamo fare”? L’essere un po’ dispiaciuti o il farsi domande non toglie la paternità o la maternità, ma dovrebbe stimolare anche l’essere figli.

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letterina 20181201

Possiamo farcela

Non viviamo tempi facili, lo scoraggiamento è alle stelle, la violenza pure.
Tra finanziarie, lavori saltuari e una dilagante povertà, tra affetti frantumati e paure di amare, rischiamo di crollare e di arrenderci. La paura e l'apatia a volte inquinano le nostre vite e le nostre comunità: sembra prevalere il forte e l'arrogante, ci sentiamo come pesci fuor d'acqua. E Gesù (tenero!) ci dice: quando accade tutto questo, alzate lo sguardo.
Le fatiche e le prove della vita, sembra dirci il Signore, sono lì apposta per farci crescere, possono diventare un trampolino di lancio, devono aiutarci a conoscere il senso segreto delle cose, il mistero nascosto nei secoli. Come il grano caduto in terra feconda la terra, così l'Avvento feconda la nostra vita per sbocciare a Natale in una festa di luce. Ma occorre vigilare, ammonisce Gesù nel Vangelo di questa prima tappa di Avvento. Le dissipazioni, le ubriachezze e gli affanni della vita possono impedirci di vedere, impedirci di vivere.
Le dissipazioni: in un mondo in cui siamo costretti alla frenesia, ritrovare un ritmo di interiorità richiede una forza di carattere notevole. Perché non approfittare di questi giorni per riprendere un quotidiano ritmo di preghiera?
Le ubriachezze: il nostro mondo ci invita a fare esperienza di tutto, a osare, a sperimentare. E alla fine ci ritroviamo a pezzi. Attenti, amici, a non cadere nell'inganno che le sirene del nichilismo ci propongono: abbiamo bisogno di unità, non di frantumazione. E questa scelta compiamola non in rispetto ad una ipotetica scelta morale, ma nella consapevolezza che Dio solo conosce la verità dell'essere.
Gli affanni della vita che esistono e non possiamo eliminare ma solo controllare mettendo al centro la ricerca di Dio e del mio vero io. No, il mondo non sta precipitando nel caos, ma fra le braccia di Dio. Lo credo, lo vivo con fatica, combatto per costruire spazi di Regno nel caos, occasioni di luce nelle tenebre, ordine in me e dove vivo. La preghiera e la meditazione della Parola, quella stessa Parola che creò dal nulla le cose che sono, ancora ricreano l'oggi di Dio.
Possiamo farcela, Dio ci sostiene, buon percorso di conversione al Natale.

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letterina 20181125

In prima linea

Il cammino degli adolescenti ha una sua struttura e tradizione, con l’incontro settimanale del lunedì, unitario nella prima parte con la preghiera e le comunicazioni e suddiviso per gruppi nella seconda. Da lì partono anche le altre iniziative di animazione, coinvolgimento e formazione.
Ma i più grandi? Alcuni di loro accompagnano gli adolescenti, alcuni sono presenti in momenti specifici come la festa di Comunità, il Palio, il servizio al bar, l’estate... Certamente siamo coscienti che quella dei 18-30enni (per utilizzare gli stessi parametri del Sinodo dei giovani) è un’età già abbastanza impegnata: le prime esperienze lavorative, i nuovi corsi di studio per chi continua con l’Università, il cammino di coppia, il desiderio di allargare gli orizzonti... Da un po’ di tempo stavamo pensando proprio a loro, anche sull’onda del Sinodo. Ecco allora una prima proposta, elaborata nell’Equipe educativa dell’Oratorio e con alcuni giovani.

L’abbiamo chiamata: IN PRIMA LINEA.
Prima linea perché potrebbe essere il primo tratto di un filo-strada-percorso che poniamo con i 18-30enni.
Prima linea perché ci vogliamo mettere la faccia e il cuore.
Prima linea perché desideriamo dare volto al protagonismo giovanile concretizzato in alcune forme di volontariato e solidarietà che ci verranno raccontate.
Prima linea per non parlare solo di giovani, guardandoli spesso come problema, ma per parlare tra giovani.
Prima linea perché ci piace.

L’appuntamento è Domenica 2 dicembre.
h. 19:00 Apericena c/o bar dell’oratorio seguito dall’ Aperincontro con storie di giovani dalla prima linea: Davide, Dario & Francesca, Suor Terry, Laura e Lezia.
Se hai tra i 18 e i 30 anni ti aspettiamo. Passaparola...

Poi, proprio in quella serata e fino a giovedì 6 dicembre, partirà un’esperienza di con-vivenza nella Casa di Comunità. Alcuni giovani, mantenendo i diversi impegni di studio e di lavoro vivranno insieme, nello stesso luogo, dormendo anche lì e facendo ciò che normalmente facciamo nelle nostre case. Alcuni momenti comuni saranno i pasti, lo scambio su alcuni temi, la preghiera, lo svago, i servizi. Anche questa vuole essere una prima linea. Di altre.

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letterina 20181118

Si può fare di più

Da alcuni anni la catechesi adulti ha preso la forma dei gruppi nelle case, del bibliodramma, dei percorsi Artefede, senza dimenticare gli appuntamenti con i genitori della catechesi e dei sacramenti. E’ sicuramente in atto un bel movimento con due aspetti importanti: la corresponsabilità di alcuni laici nella progettazione e nella proposta (cosa che fino ad alcuni anni fa sarebbe sembrata impossibile) e una maggior partecipazione a livello numerico.
Da alcune settimane abbiamo iniziato i sette gruppi nella case e quello nel salone a Burligo. Stanno partecipando più di settanta persone.
Ma, ed è il motivo di questo affondo, potremmo fare di più.
Penso a chi mette a disposizione la casa, a chi per ore prepara il materiale e le riflessioni, a chi perde le occasioni che ci portano in uno stile comunitario sempre meno “dipendente” dai preti, non solo per il calo che ormai anche a Bergamo si registra in modo palpabile, ma soprattutto per la consapevolezza di un protagonismo laicale. Allora ci vogliamo svegliare un po’ di più? Proprio oggi (venerdì) mentre scrivo, ho in mente le parole del Vangelo (Lc 17, 26-37) « Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio... Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano...»
Le parole di Gesù, così nette e temibili, non sono pronunciate per intimorirci con un capriccioso finale della storia senza alcuna misericordia. Sono invece un richiamo appassionato all'urgenza con cui la storia - piena di misericordia - ha bisogno di essere interpretata e vissuta. Mangiare, bere, prendere moglie e marito, comprare, vendere, piantare, costruire: sono i verbi con cui la vita umana, creata e amata da Dio, deve essere continuamente coniugata. Del resto, non è quello che ogni giorno facciamo anche noi? Erano “cattivi” gli uomini al tempo di Noè o di Lot perché facevano tutto questo? Lo siamo noi? No. Eppure c’è il grande rischio di esaurire in essi il nostro desiderio di vita e di vivere distratti. Ecco perché non sono - e non devono essere - l'unica narrazione di quello che siamo chiamati a essere e a vivere per entrare nello spazio della salvezza di Dio. Allora, diamo un po’ più di attenzione, partecipando, mettendoci in gioco, riconoscendo con gratitudine ciò che altri fanno anche per noi. Vi assicuro che non è scontato e non è neppure detto che sarà sempre così. Non dimentichiamo l’adagio di W. Churchill che altre volte ho ricordato:” E’ un peccato non fare niente, con la scusa che non possiamo fare tutto”.

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letterina 20181111

Asia Bibi

Dopo 3.420 giorni di carcere si chiude il lungo dramma di Asia Bibi, donna cattolica accusata di blasfemia: potrà finalmente tornare in libertà. Dalle ultime notizie è stata scarcerata.
Era il 14 giugno del 2009 quando nei dintorni del paesino di Ittanwali, nel distretto di Sheikpura nella provincia pachistana del Punjab, Asia, all’epoca trentottenne, stava raccogliendo delle bacche di falsa assieme ad altre braccianti. Le viene chiesto di andare a prendere l’acqua e in una calda giornata estiva lei osa bere da un bicchiere di latta trovato accanto al secchio. “Non puoi bere l’acqua dal nostro bicchiere, i cristiani sono impuri e non devono bere dagli utensili dei musulmani”, le gridano alcune donne musulmane che lavoravano con lei. Nasce un piccolo alterco, ma tutto finisce lì. Due donne musulmane però raccontano l’accaduto ad un imam locale, il quale cinque giorni dopo l’accaduto e senza aver assistito al fatto, presenta una denuncia per blasfemia a carico di Asia accusandola di aver offeso il Profeta Maometto, un reato che in Pakistan è punito con la pena di morte, in base all’articolo 295 comma C del codice penale pachistano, meglio noto – assieme al comma B dello stesso articolo – come legge antiblasfemia.
La donna è stata condannata a morte per impiccagione nel novembre 2010, sentenza confermata in appello il 16 ottobre 2014. Il caso giunge alla Corte Suprema nel luglio 2015, ma l’alta pressione dei fondamentalisti soprattutto sui giudici provoca diversi rinvii delle udienze, sovente per l’assenza di giudici disposti ad esprimere un verdetto sul caso. Fino all’8 ottobre scorso quando il presidente della Corte Suprema Mian Saqib Nisar, e i giudici Asif Saeed Khosa e Justice MazharAlam Khan Miankhel ascoltano finalmente il collegio difensivo, per ben 3 ore e mezza. La sentenza è stata resa nota soltanto più avanti per motivi di sicurezza.
Da allora i fondamentalisti hanno messo in atto manifestazioni e campagne attraverso i social, contro l’assoluzione della “maledetta” Asia, invocandone l’impiccagione e minacciando di morte i giudici e chiunque l’avesse difesa. I tweet e gli slogan offensivi non hanno risparmiato due figure eminenti che per aver difeso Asia sono state uccise nel 2011: il musulmano Salmaan Taseer, governatore del Punjab, e il cattolico Shahbaz Bhatti, ministro federale per le minoranze.
Tra i bambini musulmani gira addirittura un gioco dal titolo eloquente: Decapita Asia Bibi.
Quindi, se l’iter giudiziario è finito non lo è ciò che segue, per cui si teme per le sorti della donna, della famiglia e dei giudici. Sono numerosi in Pakistan i casi di persone assolte da accuse di blasfemia e poi uccise una volta liberate.
«Dubito che potremo rimanere in questo Paese», ha dichiarato infatti il marito di Asia. In questi anni la famiglia ha dovuto rimanere nascosta per paura di ritorsioni. Si temono inoltre possibili violenze anticristiane in tutto il Paese, come quelle avvenute a Gojra nel 2009 e a Joseph Colony, quartiere cristiano di Lahore, nel 2013. Gli estremisti potrebbero sfogare rabbia e frustrazione sull’intera comunità cristiana e per questo le autorità pachistane hanno intensificato la sicurezza in tutto il Paese, soprattutto nelle aree dove vivono i cristiani e le altre minoranze.

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