letterina 20090315

L'affondo

Cari bergamaschi...


Care sorelle, cari fratelli, vi saluto con semplicità e affetto.
Vi saluto con discrezione e rispetto: inizio delicato e trepidante, come il sì affidato al Signore e al Santo Padre, che mi hanno chiamato e mandato a servire la vostra fede, la vostra speranza, la vostra vita. Vi saluto nel nome del Signore.
La contiguità della terra bresciana a quella bergamasca non è stata motivo di scontate frequentazioni e di ovvie conoscenze: fino ad oggi ho sempre ricevuto più che dato, anche da Bergamo. Se la mia fanciullezza è stata segnata dalla meraviglia di papa Giovanni e la mia giovinezza dalla passione di Papa Paolo VI, sono cresciuto, diventato prete e posto al servizio del Popolo di Dio dall’indimenticato mons. Luigi Morstabilini e dal caro mons. Bruno Foresti, padri del mio sacerdozio. Il loro ricordo, colmo di riconoscenza, mi introduce al saluto più intenso e commosso: quello al Vescovo Roberto e al suo ausiliare Lino. La cordiale amicizia dei Vescovi lombardi, della quale ho potuto godere da quando sono stato ordinato Vescovo, mi ha introdotto alla stima, alla confidenza, alla condivisione con mons. Roberto e mons. Lino. La loro benedizione mi accompagni e il mio affetto li raggiunga. Con loro desidero salutare, con fraternità sentita, tutti i vescovi bergamaschi e immediatamente tutti e ciascuno dei sacerdoti e diaconi di questa Chiesa, con i quali, in un modo tutto particolare condividerò la missione evangelica. Il saluto raggiunga tutte le comunità religiose, le persone consacrate, e tutti voi laici, donne e uomini della Chiesa di Dio che è in Bergamo, a cui oggi è affidata una particolare missione nel mondo e per il mondo. Sono figlio di una grande Chiesa e il Signore mi manda a servirne una altrettanto grande : sarei incosciente se non fossi trepidante, ma sarei fuorviato se ritenessi che la grandezza consista nei numeri e nelle opere, pur provocanti e forti di responsabilità, e non piuttosto nella fedeltà al vangelo, che ammiriamo riconoscenti nella storia di chi ci ha preceduti e vogliamo con tutto noi stessi perseguire nell’oggi che il Signore ci dona di vivere. E’ una fedeltà che apre il cuore alla speranza, che illumina gli occhi per cogliere i segni dei tempi, che, pur consapevoli delle debolezze, delle contraddizioni, delle crisi e delle paure, delle sofferenze e delle prove che ci attraversano, è alimentata dalla certezza dell’amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù, del quale siamo chiamati ad essere testimoni coraggiosi e credibili. Ancora una volta vi saluto ed abbraccio, in attesa di poterlo fare personalmente. A tutte le autorità, alle istituzioni che rappresentano, all’intera comunità bergamasca, giunga il mio pensiero di stima e vicinanza.
E mentre ringrazio il Santo Padre per la fiducia che mi ha manifestato, su tutti invoco la benedizione del Signore, con particolare ricordo per i più piccoli e i più deboli.


+ Francesco Beschi, Vescovo

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letterina 20090308

L'affondo

Con il dovuto rispetto

Il digiuno non fa più parte del linguaggio dei cristiani.
E’ una parola che usano i medici che annunciano un intervento chirurgico, gli infermieri che ricevono prenotazioni per prelievi ed esami.
Ma i cristiani, dopo secoli e santi di molti digiuni, usano la parola con imbarazzo.
Ci sono buone ragioni per non fare del digiuno una priorità pastorale.
In casa vivono bambini e anziani; ci sono ritmi di lavoro, stili di vita, relazioni abituali che impediscono di gestire la propria vita come si vorrebbe.
Poi esistono modi di sfumare il digiuno per cui uno quasi non si accorge: un pasto ridotto, un piatto solo, meno o niente fuori dai pasti.
Perciò quando tra gli avvisi si dice:”… e poi ricordo che il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo è giorno di digiuno, oltre che di astinenza della carne”, nessuno se ne preoccupa.
Tuttavia se il papà, venerdì sera, tornando dal lavoro dicesse:
“Stasera non mangio perché è venerdì di Quaresima: vado in chiesa per pregare un po’ e portare un’offerta per la carità”, non credo che la cosa passerebbe inosservata.
Il venerdì sera può dunque raccontare la commozione di guardare il Crocifisso e un residuo di serietà a proposito del digiuno.

Mario Delpini

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letterina 20090301

L'affondo

Sobrietà e vigilanza di vita

Sono tre i gesti che tradizionalmente sono legati alla Quaresima: la preghiera, il digiuno e l'elemosina. Facendo l'esperienza della preghiera noi dobbiamo far tacere tutte le parole che risuonano continuamente in noi descrivendo un mondo diverso da come lo vede Dio (alle volte più bello e vincente, altre volte brutto e depressivo). Privandoci, con l'esercizio dell'elemosina, di qualcosa di nostro tocchiamo con mano come non siano le cose a darci la felicità (non abbiamo forse sperimentato tutti un certo senso di insoddisfazione dopo essere riusciti ad ottenere una cosa che tanto desideravamo?). L'esperienza del digiuno, infine, verrà a ricordarci quanto non siano scontate tutte le cose di cui quotidianamente ci cibiamo e ci aprirà alle necessità di tanti fratelli e sorelle di fede che non hanno il necessario per vivere.

Mi sembra vero,però, che il Vangelo di oggi prometta anche di fare un percorso inverso: non solo infatti noi limitiamo un aspetto della vita di Cristo, ma è Lui stesso che, ancora prima,  ha assunto la nostra esistenza. Cristo non si è accontentato di possedere una natura perfettamente umana, ma ha anche voluto sperimentare la lotta, che conosciamo molto bene, perchè caratterizza la nostra vita. Le suggestioni che il demonio propone al Signore (le conosciamo dal racconto degli altri evangelisti) sono simbolo di un mondo apparentemente bello, ricco, potente, proprio quel mondo che la cultura di oggi ci propone ogni volta che guardiamo la televisione o navighiamo in internet. E' molto consolante il messaggio che ci viene oggi dal Vangelo: anche il Signore ha conosciuto tentazioni, fatiche, prove. Non ha condotto un'esistenza sotto la campana di vetro. Anche noi, quindi, possiamo affrontare le sfide che la quotidianità propone allanostra fede, sapendo di non essere da soli: il Signore è con noi, perchè ha vissuto - prima di noi - le nostre stesse difficoltà.


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letterina 20090222

L'affondo

La sfera e la croce

Nella settimana in cui iniziamo l’itinerario quaresimale, per “volgere lo sguardo a Colui che hanno trafitto”, riportiamo un significativo passaggio tratto da:

“La sfera e la croce“ di Gilbert Keith Chesterton.

“Egli cominciò col bandire il crocifisso da casa sua, dal collo della sua donna, perfino dai quadri...Poi avrebbe voluto abbattere le croci che si alzavano lungo le strade del suo paese, che era un paese cattolico romano. Finalmente s’arrampicò sopra il campanile di una chiesa, ne strappò la croce e l’agitò nell’aria, in un tragico soliloquio sotto le stelle. Una sera, la follia lo ghermì di botto: s’era fermato, fumando la pipa, di fronte a una lunghissima palizzata. Ma egli credette di vedere, come in un fulmineo cambiamento di scena, la lunga palizzata tramutata in un esercito di croci legate l’uno all’altra...Tutte le cose che lo circondavano avevano ormai l’aspetto del simbolo maledetto: tutto era ormai fatto di croci. L’indomani lo trovarono nel fiume.”

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letterina 20090215

L'affondo

La mano

“Una mano che è sempre aperta o sempre chiusa è una
mano storpia. Un uccello che non sa aprire e chiudere le
ali non volerà mai” (Gialal al-Din Rumi)

 

Ad assegnare alla mano una funzione di simbolo morale è la citazione di un grande poeta mistico musulmano del Duecento Gialal al-Din Rumi.
Nella vita bisogna saperci aprire agli altri come mano, donando, amando, sostenendo. Ma ci sono anche momenti in cui bisogna chiuderci in noi stessi per riflettere, per tacere, per incontrare la propria coscienza.
L’esistenza esige questi due ritmi fondamentali della mano aperta all’altro e della mano chiusa in preghiera sul petto.
È in questa alternanza, tipica anche delle ali, (che sono un po’ le mani degli uccelli), che si vive veramente, volando ora raso terra ora verso i cieli. Il solo agire con le mani può renderci protesi all’esterno, in un impegno necessario ma distraente e fin superficiale quando diventa esclusivo.
Il solo stringere le mani su noi stessi ci rende egoisti e solitari.
La mano che non è storpia si apre e si chiude in un ritmo armonico e libero.


Da “Le parole e i giorni” di Gianfranco Ravasi

 

letterina 20090208

L'affondo

Un piccolo animale

Chi non si commuove davanti ad un piccolo animale?
Da più parti, movimenti e associazioni si son mosse a far valere i diritti di chi non ha voce (ma chi l’ha detto che questi siano solo animali?), a trovare un tetto, delle cure, del cibo (ma vi pare di vedere tanta attenzione intorno all’”animale-uomo” di ogni colore, razza, cultura,…?).
Le nostre case si riempiono sempre più di piccoli animali (il 58% dice una pubblicità).
Dopo le cliniche specifiche, eccoti i necrologi, i cimiteri e le fotografie (avessero almeno il buon gusto di non metterci i volti dei loro padroncini sulle lapidi…).
Ma come la mettiamo quando il piccolo animale è in noi?
Di tanto in tanto le cronache vicine e lontane ci buttano in faccia le storie di gruppi di ragazzini che diventano stupratori, ladri, microcriminali.
E le reazioni della gente sempre le stesse: “ragazzi di buona famiglia”, “presi da soli non sono cattivi”, “i mie figli andavano alle loro feste di compleanno”,… . Eppure….
Eppure li ritroviamo sbattuti sulle pagine dei giornali, nei servizi dei TG, al centro dei salotti di psicologi e criminologi.
“Branco” il termine che va per la maggiore: è il branco che comanda, è il branco che spaccia, è il branco che violenta. Si parla, appunto, di una psicologia del branco. E li vedi scorrazzare dal parco al bar, dalle panchine allo stadio, dalla casa libera di uno di loro al campetto, … .
In mano sempre qualcosa: una birra, la sigaretta, la moto, una ragazza.
Il rischio è proprio questo, che tutto si appiattisca: come ti scolo la birra, così “ti faccio la tipa”… .
Sapete come lo chiamano questo stile gli addetti ai lavori? CONSUMISMO DEL PIACERE: in genere tocca i teenager che vogliono tutto quello che li attrae. E subito. Se non possono prendono lo stesso: un muro è subito scavalcato, una porta subito scassinata, un lucchetto presto saltato. E un no della tipa? Un po’ di forza, dei ricatti ed è subito fatta.
Fanno da loro leggi, regole e violenze. Vivono di velocità. Senza il tempo di educare il piccolo animale che c’è dentro. E poi, quando succede qualcosa, come piccoli animali feriti soffrono.
Ci credo a questa sofferenza.
Ci credo a queste lacrime.
Vorrei credere che non sia l’ultima parola ma che si imparasse ad educare… il piccolo animale che è in ciascuno… .

Da un articolo di don Giuseppe  

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