letterina 20160130

Un sol nemico è già troppo

DonBosco

Nella festa di San Giovanni Bosco raccogliamo un proverbio di Margherita, la mamma.

L’occasione che fece sbocciare sulle labbra di Mamma Margherita questo proverbio fu un atto coraggioso ma imprudente del suo Giovannino quando aveva 6 o 7 anni di età.
Portando i tacchini al pascolo, egli si accorse improvvisamente che gliene mancava uno. Si ricordò allora che un momento prima era passato di lì un uomo barbuto dalla faccia sospetta. Corse subito a rintracciare quel figuro, lo raggiunse e, convintissimo di trovarsi di fronte al ladro, gli si mise alle calcagna e gli fece una tale chiassata che l'altro, per timore che comparisse gente, finse trattarsi di uno scherzo e gli restituì il tacchino già nascosto in un sacco dietro la siepe. A sera Giovanni raccontò la sua prodezza alla madre, ma Mamma Margherita non lo lodò.
- E se per caso non fosse stato lui?
- Ma io ero sicuro che me l'aveva rubato!
- E chi te lo assicurava? Non poteva trattarsi proprio di uno scherzo? Quando si corre il pericolo di offendere la carità o la pace, io non ci tengo granché a far valere i miei diritti. Ricordati che aver un sol nemico è già troppo!
Era esattamente ciò che diceva il proverbio: Un nemis a l'é 'tròp e sent amis a basto nen (Un nemico è già di troppo e cento amici non bastano). Giovanni apprese la lezione.
Avrà tanto coraggio nella sua vita, ma non mancherà mai di prudenza e di carità nel trattare con il prossimo. Si farà così molti amici anche tra coloro che avrebbero potuto divenire suoi acerrimi nemici.
«Don Bosco ha sempre avuto bisogno di tutti», egli diceva, e a don Giovanni Cagliero raccomandò un giorno: «Studia sempre di diminuire il numero dei nemici e accrescere quello degli amici e fare tutti amici di Gesù Cristo».

 

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letterina 20160123

Il papa ai ragazzi...

Papa

Carissimi ragazzi e ragazze, la Chiesa sta vivendo l’Anno Santo della Misericordia, un tempo di grazia, di pace, di conversione e gioia che coinvolge tutti: piccoli e grandi, vicini e lontani. Non ci sono confini o distanze che possano impedire alla misericordia del Padre di raggiungerci e rendersi presente in mezzo a noi. Ormai la Porta Santa è aperta a Roma e in tutte le Diocesi del mondo.
Questo tempo prezioso coinvolge anche voi, cari ragazzi e ragazze, e io mi rivolgo a voi per invitarvi a prenderne parte, a diventarne i protagonisti, scoprendovi figli di Dio (cfr 1 Gv 3,1). Vi vorrei chiamare uno a uno, vi vorrei chiamare per nome, come fa Gesù ogni giorno, perché lo sapete bene che i vostri nomi sono scritti in cielo (Lc 10,20), sono scolpiti nel cuore del Padre che è il Cuore Misericordioso da cui nasce ogni riconciliazione e ogni dolcezza...
Il Giubileo è la festa a cui Gesù invita proprio tutti, senza distinzioni e senza escludere nessuno. Per questo ho desiderato vivere anche con voi alcune giornate di preghiera e di festa.
Vi aspetto numerosi, quindi, nel prossimo mese di aprile. “Crescere misericordiosi come il Padre” è il titolo del vostro Giubileo, ma è anche la preghiera che facciamo per tutti voi, accogliendovi nel nome di Gesù... So che non tutti potrete venire a Roma, ma il Giubileo è davvero per tutti e sarà celebrato anche nelle vostre Chiese locali. Siete tutti invitati per questo momento di gioia! Non preparate solo gli zaini e gli striscioni, preparate soprattutto il vostro cuore e la vostra mente... Quando attraverserete la Porta Santa, ricordate che vi impegnate a rendere santa la vostra vita, a nutrirvi del Vangelo e dell’Eucaristia, che sono la Parola e il Pane della vita, per poter costruire un mondo più giusto e fraterno.
Il Signore benedica ogni vostro passo verso la Porta Santa. Prego per voi lo Spirito Santo, perché vi guidi e vi illumini. La Vergine Maria, che è Madre di tutti, sia per voi, per le vostre famiglie e per tutti coloro che vi aiutano a crescere in bontà e grazia, una vera Porta della Misericordia.

+ Francesco

 

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letterina 20160116

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

PapaUdienza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi iniziamo le catechesi sulla misericordia secondo la prospettiva biblica, così da imparare la misericordia ascoltando quello che Dio stesso ci insegna con la sua Parola. Iniziamo dall’Antico Testamento... Nella Sacra Scrittura, il Signore è presentato come “Dio misericordioso”. È questo il suo nome, attraverso cui Egli ci rivela, per così dire, il suo volto e il suo cuore. Egli stesso, come narra il Libro dell’Esodo, rivelandosi a Mosè si autodefinisce così: «Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (34,6)...
Il Signore è “misericordioso”: questa parola evoca un atteggiamento di tenerezza come quello di una madre nei confronti del figlio. Infatti, il termine ebraico usato dalla Bibbia fa pensare alle viscere o anche al grembo materno. Perciò, l’immagine che suggerisce è quella di un Dio che si commuove e si intenerisce per noi come una madre quando prende in braccio il suo bambino, desiderosa solo di amare, proteggere, aiutare, pronta a donare tutto, anche sé stessa. Poi è scritto che il Signore è “pietoso”, nel senso che fa grazia, ha compassione e, nella sua grandezza, si china su chi è debole e povero, sempre pronto ad accogliere, a comprendere, a perdonare. È come il padre della parabola riportata dal Vangelo di Luca (cfrLc 15,11-32)... Di questo Dio misericordioso è detto anche che è “lento all’ira”, letteralmente, “lungo di respiro”, cioè con il respiro ampio della longanimità e della capacità di sopportare. Dio sa attendere, i suoi tempi non sono quelli impazienti degli uomini; Egli è come il saggio agricoltore che sa aspettare, lascia tempo al buon seme di crescere, malgrado la zizzania (cfr Mt 13,24-30). E infine, il Signore si proclama “grande nell’amore e nella fedeltà”.
Com’è bella questa definizione di Dio! Qui c’è tutto. Perché Dio è grande e potente, ma questa grandezza e potenza si dispiegano nell’amarci, noi così piccoli, così incapaci. La parola “amore”, qui utilizzata, indica l’affetto, la grazia, la bontà. Non è l’amore da telenovela... È l’amore che fa il primo passo, che non dipende dai meriti umani ma da un’immensa gratuità. Una “fedeltà” senza limiti: ecco l’ultima parola della rivelazione di Dio a Mosè. La fedeltà di Dio non viene mai meno perché è il custode che non si addormenta ma vigila continuamente su di noi per portarci alla vita.

Udienza di mercoledì 13.01.2016

 

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letterina 20160109

Il codino della giostra

CantaeCammina

Quando ero bambino e arrivavano le giostre sotto casa, mi piacevano da matti, sceglievo sempre il cavallo o l'astronave.
C'era il gioco del codino, chi riusciva a strapparlo vinceva un giro gratis. I bambini impazzivano per prenderlo, quando toccava a loro ce la mettevano tutta e se non ci riuscivano si guardavano in giro per controllare che anche gli altri bambini non lo avessero preso, così da avere un' altra possibilità. Per loro il giro in giostra serviva a quello, ad acchiappare il codino. Quando ce la facevano si voltavano verso i genitori, fieri e orgogliosi. Il codino era il loro trofeo.
Una volta mio padre mi chiese perché non ci provassi neanche, a prenderlo, capitava che il ragazzo della giostra me lo facesse scivolare addosso, mi sarebbe bastato allungare la mano, e lo avrei afferrato. Gli adulti ridevano di me, ma a me non interessava, ero concentrato sul mio viaggio, non mi importava avere un secondo gratis, mi importava godermi quello che stavo facendo.

Questo passaggio di un libro* che sto leggendo (uno di quelli non “impegnati” che cerco di leggere per capire il “sentire” comune del tempo che viviamo) mi ha fatto pensare all’infanzia, perché era proprio così. Io poi avevo uno zio che era nel mondo degli spettacoli viaggianti e anche a me è capitato di stare sulla giostra, ma, anche, di essere quello che manovrava il codino, offrendolo soprattutto ai bambini che sembravano impacciati, timidi o non interessati, proprio come racconta il libro.
Ma poi, leggendo, ritrovo anche il modo di stare nel mondo. Troppi sono sulla giostra della vita pensando ai trofei. Pochi, forse, assaporano e gustano lo starci. Un anno davanti non per cercare trofei, ma per fare bene la nostra parte. Per stare al mondo senza fughe e illusioni.

*F.Volo: E’ tutta vita

 

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letterina 20160102

Canta e Cammina

CantaeCammina

Inizia un nuovo anno, un nuovo viaggio. Parlare di viaggio, o di cammino, significa parlare della vita umana. L’uomo nasce sulla terra come nomade: senza una città, né accampamenti, un essere sempre in moto, come d'altronde è sempre in movimento la natura intera. Il suo perenne vagabondare dimostra che il nomadismo appartiene alla sua natura. E’ quel moto interiore sempre impaziente e incapace di stasi... è quel moto interiore mai sazio che si chiama desiderio che fa dell’uomo un essere irrequieto.
La fatica dell’uomo, per tutta la vita, sarà quella di disciplinare il proprio desiderio; di orientarlo e di dargli un senso, una direzione. La fatica dell’uomo sarà quella di trasformare in itinerario ciò che rischia di essere solo erranza; la sua fatica sarà di rendere via ciò che sembra precipizio; di aprire un cammino, là dove tutto è segnato dal vuoto; di far crescere una comunione, una “compagnia di viaggio” in quel terreno informe e sterile del vagabondare. In verità è la vita stessa, nelle sue necessità oggettive che impone all’uomo di viaggiare: a volte per ragioni solo commerciali e cercare di vendere i propri manufatti; per ragioni politiche, per stipulare nuove alleanze e rinnovarle; o per ragioni di cruda sussistenza e cercare acqua, cibo, benessere e pace, là dove tutto questo non è dato.
Il fenomeno delle recenti migrazioni continua a testimoniarci con viva durezza la verità di tutto questo. Quando il cammino è segnato dalle sole ragioni della necessità è il dolore che prevale. Solo a noi occidentali che apparteniamo all’emisfero ricco del mondo è concesso il lusso di poter camminare e viaggiare per ragioni di piacere, di cultura, di studio, di curiosità. Spesso il cammino non ha nulla di romantico; non di rado nasce dal dolore. Il cammino rivela all’uomo tutta la sua incapacità di porre rimedio alla sua inquietudine. Il cammino comporta sempre un dolore. Il più evidente è il dolore del distacco dai luoghi amati, dalle persone amate. Non esiste cammino senza prezzo. Non c’è cammino fatto di sole gioie.
Sant’ Agostino descrive con grande capacità letteraria questo aspetto paradossale del cammino: l’unione degli opposti speranza e sofferenza.

Così scrive Agostino nel Discorso IV,256:

Come sogliono cantare i viandanti: Canta e cammina.
Non amare la pigrizia: cammina! Ma consolati dalla fatica: canta!
Cosa vuol dire “Cammina”? Avanza e non fermarti.
Cosa vuol dire “Canta”? Avanza nel bene!
Come sogliono ripetere i viandanti: Canta e cammina.

Auguri e benedizione

 

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letterina 20151226

Vinci l'indifferenza e conquista la pace

NataleGiotto

1. Dio non è indifferente! A Dio importa dell’umanità, Dio non l’ abbandona!
All’inizio del nuovo anno, vorrei accompagnare con questo mio profondo convincimento gli auguri di abbondanti benedizioni e di pace, nel segno della speranza, per il futuro di ogni uomo e ogni donna, di ogni famiglia, popolo e nazione del mondo, come pure dei Capi di Stato e di Governo e dei Responsabili delle religioni. Non perdiamo, infatti, la speranza che il 2016 ci veda tutti fermamente e fiduciosamente impegnati, a diversi livelli, a realizzare la giustizia e operare per la pace. Sì, quest’ultima è dono di Dio e opera degli uomini.
La pace è dono di Dio, ma affidato a tutti gli uomini e a tutte le donne, che sono chiamati a realizzarlo.
Custodire le ragioni della speranza
2. Le guerre e le azioni terroristiche, con le loro tragiche conseguenze, i sequestri di persona, le persecuzioni per motivi etnici o religiosi, le prevaricazioni, hanno segnato dall’inizio alla fine lo scorso anno moltiplicandosi dolorosamente in molte regioni del mondo, tanto da assumere le fattezze di quella che si potrebbe chiamare una “terza guerra mondiale a pezzi”. Ma alcuni avvenimenti degli anni passati e dell’anno appena trascorso mi invitano, nella prospettiva del nuovo anno, a rinnovare l’esortazione a non perdere la speranza nella capacità dell’uomo, con la grazia di Dio, di superare il male e a non abbandonarsi alla rassegnazione e all’indifferenza.
Gli avvenimenti a cui mi riferisco rappresentano la capacità dell’umanità di operare nella solidarietà, al di là degli interessi individualistici, dell’apatia e dell’indifferenza rispetto alle situazioni critiche... In questa prospettiva, con il Giubileo della Misericordia voglio invitare la Chiesa a pregare e lavorare perché ogni cristiano possa maturare un cuore umile e compassionevole, capace di annunciare e testimoniare la misericordia, di «perdonare e di donare», di aprirsi «a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica», senza cadere «nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge» .

Inizio del messaggio di papa Francesco per la giornata della pace

 

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