letterina 20160604

Cose di casa 5

Pulizie

- Visita ai malati nelle case: normalmente ogni mese, io o un altro sacerdote e, da alcuni anni, soprattutto nei tempi forti, ogni domenica da parte dei ministri straordinari della comunione.
Il minimo è spegnere la televisione che certo può fare compagnia, ma in quel momento accogliamo quella del Signore. Alcuni la abbassano, tolgono il volume... è più veloce spegnere. Alcuni non se ne rendono conto tanto è entrata nel panorama casalingo. E’ bene spegnere. A volte si stendono tovagliette ricamate per accogliere il Santissimo (retaggio di un tempo in cui non c’era biancheria firmata o con pizzi, ma il set per l’Eucarestia preparato da mani fini sì); qualcuno accende una candela, altri mettono un’immagine, una croce, un fiore... piccoli segni che dicono consapevolezza. Belli.
-Spero che almeno qualcuno sappia il motto della nostra Parrocchia (riportato anche sul disegno con le sette chiese) : “Ut unum sint” cioè :”che siano una cosa sola” (fa parte della preghiera sacerdotale di Gesù nell’ultima cena cfr Gv 17,11). A volte, vedendo il modo di cantare e pregare in assemblea mi dico: ma come faremo ad essere una cosa sola se non ci si ascolta neppure? Mi riferisco al fatto che la musica degli strumenti va da una parte (normalmente quella segnata sugli spartiti e che quindi fa da riferimento) e le voci da un’altra; che nella recita dei salmi, ad esempio, ci sono velocità diverse (a volte anche 4-5) come se si dovesse fare gara a chi arriva primo; così anche per il rosario (a proposito : come stiamo con la Salve Regina? Mi pare che non solo non si sappia cantare quella in latino -con tutti gli strafalcioni del caso- ma neppure recitare quella in italiano).
Ascoltare e ascoltarsi: prima regola per “essere una cosa sola”.
E poi mi spiegate perché in alcune celebrazioni (soprattutto funerali, quando ci sono persone anche di altre comunità) l’assemblea sembra impedita? Non ci si alza nei momenti giusti (è brutto che il sacerdote faccia segno con le mani o con sguardi poco benevoli), non si canta come normalmente, non si risponde... Dovrebbe essere chi già vive la Comunità a “trascinare” chi arriva. O no?

 

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letterina 20160529

Cose di casa 4

Pulizie

Nelle visite al museo parrocchiale e alla chiesa (anche quelle fatte due settimane fa) diverse persone, insieme alle domande sulle opere d’arte e oggetti che si possono vedere, chiedono: “ Ma chi tiene pulito qui? C’è tutto in ordine, non ci sono neppure le ragnatele che ci sono in casa mia!” Appunto: chi pulisce? Qualcuno di sicuro.
Se facciamo una veloce rassegna degli ambienti comunitari - tra chiese, strutture, oratorio, esterni …- troviamo molto da fare. Alcuni gruppi assicurano settimanalmente la pulizia dell’oratorio, un gruppo quella periodica della chiesa, altri, le chiese delle frazione, alcuni volontari il bar, un “fiore” della serie “m’ama non m’ama” quella settimanale della Parrocchia che si protrae un po’ in tutti i giorni.
Poi ci sono le signore per la biancheria, le tovaglie, i ravioli, i costumi delle diverse rappresentazioni; c’è chi spala la neve e taglia l’erba . Insomma, tante persone, ma si sa “la messe è molta ma gli operai sono sempre pochi”, anche qui.
E non è solo e tanto il fatto di avere “manovalanza” gratis, ma persone appassionate. Sì, persone con “occhi che vogliono bene”. Abbiamo bisogno di questi occhi!
Allora questi “occhi che vogliono bene” vedono che c’è ancora tanto posto, capiscono che quella pianta è da bagnare, che quell’erba che cresce nelle fessure è da strappare, che il bar è da aprire, che il cestino è da svuotare, che ci si può mettere insieme per proporre, inventare… Sono “occhi che vogliono bene” che dicono: io parto...qualcuno mi seguirà…; che non si aspettano che il don di turno domandi o faccia presente le cose…; che sanno che i figli sono sempre un po’ figli di tutti e quindi il clima che si respira può fare la differenza.
Di questi “occhi che vogliono bene” io ne vedo, ma come sarebbe importante e bello averne di più... Non certo per i preti che cambiano, ma per la comunità che resta...

 

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letterina 20160522

Cose di casa 3

Palazzago

“Ho telefonato già alcune volte perché N.N. è morto e volevamo dirglielo subito”.
Vado e trovo già tutto apposto e deciso con le pompe funebri.
Chiariamo: se la persona è già morta, andare subito può essere un atto di attenzione, di cortesia, di vicinanza, ma a quel punto dare la benedizione subito o il giorno dopo non cambia assolutamente. Può sembrare brutale ma è così: i sacramenti sono per i vivi, quindi bisognerebbe insistere prima che chiuda gli occhi, non dopo.

“Ma non è la stessa cosa la benedizione o l’unzione?”
No, cari miei! L’unzione è un sacramento (sì, uno dei sette); la benedizione no.
So bene che si creano tante perplessità e problemi per non far capire alla persona che sta morendo... Ma siamo così sicuri che non sia più un problema per chi resta e non per chi va? Sempre più mi pare di vedere che chi ci sta lasciando lo percepisca e per attenzione ai familiari faccia come se non... Partire, non da soli, ma con la compagnia del Signore (anche attraverso l’unzione) può essere il regalo più bello che facciamo. E poi l’unzione, in diverse occasioni, non è il sacramento dell’addio ma quello che ridona la forza. Tant’è che alcuni anziani, che l’hanno capito, ogni anno, fosse per loro, riceverebbero l’unzione. Poi ci ricordiamo vero che in estate il Comando di Polizia (e non il Parroco come qualcuno dice) prescrive i funerali al mattino? In ogni caso non sono certamente di serie B! Anzi i pochi celebrati al mattino han visto una grande partecipazione.
Rimane però nella testa di molti che debbano essere al pomeriggio. Mi spiegate il perché? E non dite per il lavoro perché è almeno lo stesso. Chissà quando si comincerà a celebrarli insieme (anche se certo non si può prevedere il giorno dell’ad-Dio). Del resto l’indole dei sacramenti è sempre comunitaria: pensiamo al Battesimo, all’Eucarestia... Resistono nell’immaginario Matrimonio e Funerali.

 

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letterina 20160515

Cose di casa 2

Palazzago

“Hai visto che trono si è fatto il don?”
Si sta parlando della “SEDE” (non trono) che è uno dei luoghi liturgici della chiesa, insieme all’ambone, alla mensa e al tabernacolo. Nella basiliche antiche c’era il seggio vescovile o cattedra (da cui poi “Chiesa Cattedrale”). In chiesa parrocchiale si è cercato di riprendere nella sede le forme dell’ambone e dell’altare, utilizzando intanto il legno, in attesa magari di crearla con lo stesso materiale -marmo bianco e rosa- degli altri, risalenti alla sistemazione liturgica del presbiterio del 1989. Si chiama sede perché esprime l’iniziativa di Dio di radunare la sua comunità con la guida di Colui (il Cristo) che è il capo delle membra. E nella celebrazione il sacerdote lo rappresenta. Nel complesso il tutto sembra ora più armonico. Comunque non c’è nessun trono e nessun re...

“Ma quanto si spende per i fiori...”
Meno di quanto ho visto nei bilanci precedenti. Ma il trucco c’è.
Alcune persone, non solo assicurano la cura di piante e fiori, ma ci mettono del loro (e le ringraziamo); spesso poi chiediamo ai vivai e giardinieri (che pure ringraziamo) piante in vaso che poi vengono restituite; soprattutto nella bella stagione attingiamo da giardini di privati, in attesa anche di quello parrocchiale; per i fiori dei troni alcune persone raccolgono tra i devoti; altre volte invece compriamo e qualcosa esce. Ma, mi pare, la casa del Signore è sempre bella. Perché? Perché si spera che anche un luogo pulito e bello aiuti l’incontro con il mistero, aprendoci al Creatore di tutto... anche dei fiori, con il loro profumo e i loro colori. Se poi uno vuole riflettere sul perché di una insofferenza, ricordi Gv 12,1-11 là dove colui che proprio non tollera lo “spreco” di profumo è Giuda. Terribile l’inciso dell’evangelista:” non perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro”... e tradirà...

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letterina 20160508

Cose di casa 1

Palazzago

 

Per alcune volte l’affondo settimanale parla di cose di casa nostra, così, per intenderci di più e magari sfatare alcuni luoghi comuni.

Cominciamo con la prima puntata:

“C’è la macchina, quindi il don c’è”.
E’ vero che il territorio da Collepedrino alla Beita... è vasto, ma non mi muovo solo in macchina. Quindi, la macchina può esserci, ma posso essere fuori a piedi, in bici, in macchina con qualcuno...
Poi, tra l’altro, c’è chi la confonde con una simile spesso parcheggiata accanto alla casa.

“Sono stato in ospedale tanti giorni e io il parroco non l’ho mai visto”
Mi posso sognare che qualcuno sia malato? Normalmente cerco di fare visita a chi è in ospedale o alle case di riposo, tant’è vero che più di una volta è capitato di sentirmi dire dai compagni di stanza: ”Ma lei va a trovare i malati della sua Parrocchia?” Certo che vado. Ma non posso sapere se nessuno dice.
E provare a parlare? E’ così strano fare una telefonata o mandare un messaggio con i mezzi che abbiamo o attraverso i familiari? Tutte le settimane chiedo a chi fa volontariato alla Clinica di Ponte se ha trovato qualcuno... e appena lo so ci vado. Ma se non mi si dice e magari vengo a saperlo da altri, posso avere il dubbio che la visita non sia gradita?
“Ma fa sempre piacere...” mi vien detto. Ma io non posso sognarmi chi e dove... Quindi, a chi ha il vezzo di parlare, mi sento di consigliare molto chiaramente: dite pure “sono stato in ospedale tanti giorni ma il parroco non l’ho mai visto”, ma aggiungete per correttezza: “ma, né io né i miei glielo abbiamo detto”.

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letterina 20160501

Dal messaggio dei Vescovi per il 1° maggio

Vescovi

Il dato prevalente è che il lavoro in Italia manca. Una scarsità che porta sempre più persone, impaurite dalla prospettiva di perderlo o di non trovarlo, a condividere l’idea che nulla sia più come è stato finora: dignità, diritti, salute finiscono così in secondo piano...
Intimoriti e atterriti da un mondo che non offre certezze, scivoliamo nel disinteresse per il destino dei nostri fratelli e così facendo perdiamo la nostra umanità, divenendo individui che esistono senza trascendenza e senza legami sociali.
...Oggi più che mai c’è quindi bisogno di educare al lavoro e la situazione è tale da richiedere una riscoperta delle relazioni fondamentali dell’uomo. Il lavoro deve tornare a essere luogo umanizzante, uno spazio nel quale comprendiamo il nostro compito di cristiani, entrando in relazione profonda con Dio, con noi stessi, con i nostri fratelli e con il creato. Bisogna, in altre parole, fuggire dall’idea che la vera realizzazione dell’uomo possa avvenire nell’alternativa “solo nel lavoro o nonostante il lavoro”... Il lavoro deve essere sempre e comunque espressione della dignità dell’uomo, dono di Dio a ciascuno.
...Ciò che colpisce e inquieta di questa situazione è la mancanza di consapevolezza rispetto al fatto che il destino delle diverse aree del Paese non può essere disgiunto: senza un Meridione sottratto alla povertà e alla dittatura della criminalità organizzata non può esserci un Centro-Nord prospero. Non è un caso che le mafie abbiamo spostato gli affari più redditizi nelle regioni del Nord, dove la ricchezza da accaparrare è maggiore...
La strada è ancora lunga perché l’Italia è stata per troppo tempo ferma: è giunto il momento di ricominciare a camminare, nessuno escluso, mettendo in pratica quell’ «ecologia integrale», che è la base del nostro stare al mondo.

Dal Messaggio “Il lavoro: libertà e dignità dell'uomo in tempo di crisi economica e sociale”.

 

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