letterina 20150815

Amore liquido

Giuda

Da qualche anno gli studiosi parlano di una forma innovativa dello “stare insieme” dei giovani, il Lat – un acronimo che sta per “living apart togheter” – che tradotto letteralmente significa vivere separati insieme. Sarebbe, per alcuni, una nuova modalità di esprimere la vita affettiva che descriverebbe le trasformazioni dell’intimità e tradurrebbe in pratica l’idea dell’amore liquido, sulla base del quale i partner costruirebbero una relazione basata esclusivamente sul presente, slegata da vincoli e continuamente aperta e in discussione.
Sono interessanti i risultati di una ricerca inglese, pubblicata su “TheSociologicalreview” e svolta proprio lì dove la forma innovativa è stata per le prime volte osservata, ovvero il Regno Unito.
È stato chiesto alle donne di giustificare la loro scelta, partendo dal presupposto che fosse una strategia per rimanere indipendenti e non subire i carichi dei compiti di cura che la disparità tra i partner di una convivenza tradizionale comporta. Sono emerse tre ragioni fondamentali che fondano lo “stare insieme separatamente”.
La prima descritta è la costrizione, poiché la scelta delle donne è condizionata dall’impossibilità di vivere insieme: lavorare in località differenti, non avere il consenso delle famiglie di origine (accade ancora questo) ad esempio.
La seconda ragione è strategica. La scelta sarebbe infatti condizionata dalla volontà di mantenere lo spazio di indipendenza.
La terza ragione è la vulnerabilità. In questo gruppo i ricercatori inseriscono le donne che vorrebbero vivere insieme ai loro partner ma pensano che l’attuale condizione sia per ora quella opportuna: quelle che hanno timori legati alla sostenibilità economico finanziaria di una convivenza oppure alcune che invece – vivendo con figli nati da una prima relazione – non trovano corretto vivere con l’attuale partner.
Sottolinea Simon Duncan che in tutti e tre i raggruppamenti il punto di riferimento per valutare la propria relazione rimane la coppia (convivente o sposata, ed eventualmente con figli) e che sono poche le coppie che escludono a priori la possibilità di sposarsi o, almeno in un giorno futuro, di vivere sotto lo stesso tetto.
Dopo una simile analisi la nuova forma che dovrebbe simboleggiare l’amore liquido ne esce notevolmente ridimensionata. Scopriamo che costruire una famiglia rimane un’aspirazione per moltissime persone, purtroppo ancora non riusciamo a eliminare i tanti ostacoli strutturali perché questi giovani possano tradurre un loro desiderio in un progetto concreto. Così per coltivare un amore finiscono per adattarsi.

santalessandro.org

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letterina 20150808

Umanità, carne di Dio

Giuda

Dio in me: il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola. Ed è il senso di tutta la storia: portare cielo nella terra, Dio nell'uomo, vita immensa in questa vita piccola. Molto più del perdono dei peccati è venuto a portare: è venuto a dare se stesso. Mangiare la carne e il sangue di Cristo, non si riduce però al rito della Messa. Il corpo di Cristo non sta solo sull'altare, del suo Spirito è piena la terra, Dio si è vestito d'umanità, al punto che l'umanità intera è la carne di Dio. Infatti: quello che avete fatto a uno di questi l'avete fatto a me. «Mangiare il pane di Dio» è nutrirsi di Cristo e di Vangelo, respirare quell'aria pulita, mangiare quel pane buono, continuamente.

Domandiamoci allora: noi di che cosa ci nutriamo?
Di che cosa alimentiamo cuore e pensieri? Stiamo mangiando generosità, bellezza, profondità? O stiamo nutrendoci di superficialità, miopie, egoismi, intolleranze, insensatezze? Se accogliamo in noi pensieri degradati questi ci riducono come loro; se accogliamo pensieri di vangelo, di bontà e di bellezza essi ci fanno uomini e donne della bellezza.

Se ci nutriamo di Vangelo, il Vangelo dà forma al nostro pensare, al sentire, all'amare. E diventiamo ciò che ci abita. Io non sono ancora e mai il Cristo, ma io sono questa infinita possibilità (Turoldo).

Non basterà questa vita forse, ma lui ha promesso. Ha promesso e io lo credo. Sono convinto che lo diverrò: una cosa sola con lui.

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letterina 20150801

Quante pagine?

Giuda

Chiedo ai bambini: di quante pagine avreste bisogno per scrivere un tema sull'amore? Le risposte, naturalmente sono varie.
Mi colpisce che sotto le quattro pagine non sia andato nessuno. Ovviamente, tra i bambini, non manca neppure l'esagerato di turno che dice di aver bisogno di 300.000 pagine!
È interessante scoprire che anche per loro il tema amore sia un argomento imponente.
Dopo aver conosciuto la quantità di pagine, mi importa sapere quale sia l'idea centrale che questi ipotetici temi esprimono. Chiedo, perciò, ai bambini come avrebbero concluso il loro componimento. Il bambino che aveva bisogno di 300.000 pagine mi racconta una conclusione interessantissima. Concluderei, dice, con: ci vediamo! Splendido! Dopo 300.000 pagine 'di amore' la parola deve farsi corpo. Ci vediamo!
Anche un bambino sa che si possono dire tantissime cose sull'amore, ma che alla fine, se parlare d'amore non incontra gli occhi della persona, se il sentimento non si fa storia, parlare d'amore è inutile, è operazione cervellotica, è tempo sciupato, è imbroglio. Mi viene da pensare che la Trinità si 'spieghi' nel 'Ci vediamo' che Dio mette come programma del suo Amore. E questo ... mi rasserena.
Predica finita.
Grazie piccolo!

don Giacomo

 

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letterina 20150725

MDMA: ecstasy

Giuda

In settimana la parola più pronunciata è stata sicuramente caldo.
Che caldo! Quando finirà questo caldo? A creare ancor più il senso di oppressione ci si mettono come sempre giornali e telegiornali, statistiche dell’ultimo secolo... Ma, in settimana, l’opinione pubblica è sicuramente rimasta sgomenta per alcune morti di giovani e adolescenti. Sarà perché immediatamente un genitore pensa: se fosse mio figlio? Sarà perché ciò che è giovane -e quindi in divenire- cattura sempre. E, non ultimo, perché il male fa male.
In queste righe permettete una sosta su Lamberto, il sedicenne morto al Cocoricò di Riccione (uno dei templi techno della modernità che tirava già quando ero adolescente io). E, ovviamente sul pusher. Per le mie nonne, pusher significa letteralmente “chi spinge” e per i giovani è lo spacciatore. Detto così è più comprensibile e forse più netto.
Da noi ci sono gli spacciatori? Da noi c’è chi spinge?
Se c’è chi fuma e si fa, è chiaro che sì! Se alcuni adolescenti si fanno e fumano... è chiaro che sì! Ho provato a pensare : come si sentirà quel pusher ? (per di più amico di Lamberto)
Ancora: si è proprio amici spingendo sull’acceleratore? Potrà guardare negli occhi i genitori dell’amico morto? Ecco, mi piacerebbe che i nostri pushers nostrani - qualcuno azzarda anche dei nomi, tutti di buona famiglia, ovviamente- provassero a pensarci bene: dove stiamo spingendo? Bisogna aspettare che anche tra noi qualcuno schiatti per rendersi conto che ci sono modi più puliti per fare soldi e arrotondare paghe e paghette di fine settimana? Li vorrei vedere questi pushers a guardare negli occhi i genitori dei deboli che foraggiano i loro giri e non lasciano mai sguarnita la “piazza”...
Li vorrei vedere anche prendere la parola durante un funerale... Basterà dire davanti ad una bara: ”Io non credevo, non pensavo, non immaginavo”?

 

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letterina 20150718

Lusinghe

Giuda

Come è sotto gli occhi di tutti, come il Papa Francesco non manca di mettere in evidenza, le persecuzioni cruente come quelle dei Romani non sono mai cessate, anzi, in tutta la storia della Chiesa non ci sono mai stati tanti martiri come nello ultimo secolo. Si pensi ai martiri del comunismo, del nazismo, e ultimamente
del cosiddetto califfato. Forse cominciamo ad essere preoccupati anche noi dell’islamismo integralista e del suo espansionismo, ma, siamo sinceri, la nostra preoccupazione non è propriamente per i pericoli che corriamo come credenti. Come tali, i pericoli maggiori che corriamo non sono quelli del martirio cruento.
S. Ilario, vescovo di Poitier (315-367) suonò un campanello d’allarme, citatissimo, che anche a noi farebbe bene tener presente, perché attualissimo anche oggi:

“Noi combattiamo ora contro un persecutore più insidioso, un nemico che non ci flagella la schiena, ma ci lusinga… ci accarezza il ventre;... non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro, l’onore, il potere“.
(S. Ilario, Liber contra Constantium 5).

Pensiamo a quello che avviene nelle famiglie, o nei gruppi di amici, o nei circoli culturali. La preoccupazione che c’è per “l’invasione islamica” non è per motivi religiosi. Siamo sinceri. Noi, di sicuro, non siamo preoccupati per il pericolo che ci sarà di non poter più andare a Messa la domenica, di non poter più sposarsi in chiesa, di non poter più impegnarsi a sostenere le opere di carità cristiana…). A questa, perdita dei valori cristiani ci stiamo già riuscendo molto bene noi, senza bisogno che vengano i musulmani portarceli via. E coloro che uccidono l’anima a noi e ai nostri giovani, li abbiamo in casa, nel nostro dorato mondo occidentale. Sono i materialisti pratici, gli spacciatori di felicità artificiali, i tifosi del pensiero debole e del possedere forte, i cultori del relativismo ad oltranza, gli sbeffeggiatori dei profeti... Attenzione, amici! Forse senza volerlo, per mancanza di vigilanza, o incapacità di discernimento, ne siamo diventati complici anche noi, contribuendo così all’uccisione dell’anima dei nostri ragazzi…È quindi urgente che noi tutti facciamo di tutto per educare a conoscere la speranza che i cristiani hanno da Gesù risorto e che insegniamo a saper rendere ragione di questa speranza.

Adattamento da santalessandro.org

 

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letterina 20150711

In famiglia

Giuda

Mi ricordo che una volta chiesero a mia mamma quale dei suoi cinque figli – perché noi siamo cinque fratelli – amava di più; lei disse [mostra la mano]: “Come le dita, se mi pungono questo mi fa male lo stesso come se mi pungono questo”. Una madre ama i suoi figli come sono. E in una famiglia i fratelli si amano come sono. Nessuno è scartato.
Lì nella famiglia si impara a chiedere permesso senza prepotenza, a dire “grazie” come espressione di sentito apprezzamento per le cose che riceviamo, a dominare l’aggressività o l’avidità, e lì si impara anche a chiedere scusa quando facciamo qualcosa di male, quando litighiamo. Perché in ogni famiglia ci sono litigi. Il problema è dopo, chiedere perdono.
La famiglia è l’ospedale più vicino: quando uno è malato lo curano lì, finché si può.
La famiglia è la prima scuola dei bambini, è il punto di riferimento imprescindibile per i giovani, è il miglior asilo gli anziani.
La famiglia costituisce la grande ricchezza sociale, che altre istituzioni non possono sostituire, che dev’essere aiutata e potenziata, per non perdere mai il giusto senso dei servizi che la società presta ai suoi cittadini. In effetti, questi servizi che la società presta ai suoi cittadini non sono una forma di elemosina, ma un autentico “debito sociale” nei confronti dell’istituzione familiare, che è la base e che tanto apporta al bene comune.
La famiglia forma anche una piccola Chiesa, la chiamiamo “Chiesa domestica”, che, oltre a dare la vita, trasmette la tenerezza e la misericordia divina. Nella famiglia la fede si mescola al latte materno: sperimentando l’amore dei genitori si sente più vicino l’amore di Dio. E nella famiglia i miracoli si fanno con quello che c’è, con quello che siamo, con quello che uno ha a disposizione; e molte volte non è l’ideale, non è quello che sogniamo e neppure quello che “dovrebbe essere”.
...In ciascuna delle nostre famiglie e nella famiglia comune che formiamo tutti, nulla si scarta, niente è inutile.

Dall’ Omelia del Papa nel viaggio apostolico a Guayaquil, Ecuador

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