letterina 20191229 - La pace come cammino di speranza

La pace come cammino di speranza

La pace è un bene prezioso, oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità. Sperare nella pace è un atteggiamento umano che contiene una tensione esistenziale, per cui anche un presente talvolta faticoso «può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino». In questo modo, la speranza è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili.
La nostra comunità umana porta, nella memoria e nella carne, i segni delle guerre e dei conflitti che si sono succeduti, con crescente capacità distruttiva, e che non cessano di colpire specialmente i più poveri e i più deboli. Anche intere nazioni stentano a liberarsi dalle catene dello sfruttamento e della corruzione, che alimentano odi e violenze.
Ancora oggi, a tanti uomini e donne, a bambini e anziani, sono negate la dignità, l’integrità fisica, la libertà, compresa quella religiosa, la solidarietà comunitaria, la speranza nel futuro. Tante vittime innocenti si trovano a portare su di sé lo strazio dell’umiliazione e dell’esclusione, del lutto e dell’ingiustizia, se non addirittura i traumi derivanti dall’accanimento sistematico contro il loro popolo e i loro cari. Le terribili prove dei conflitti civili e di quelli internazionali, aggravate spesso da violenze prive di ogni pietà, segnano a lungo il corpo e l’anima dell’umanità. Ogni guerra, in realtà, si rivela un fratricidio che distrugge lo stesso progetto di fratellanza, inscritto nella vocazione della famiglia umana. La guerra, lo sappiamo, comincia spesso con l’insofferenza per la diversità dell’altro, che fomenta il desiderio di possesso e la volontà di dominio. Nasce nel cuore dell’uomo dall’egoismo e dalla superbia, dall’odio che induce a distruggere, a rinchiudere l’altro in un’immagine negativa, ad escluderlo e cancellarlo.
La guerra si nutre di perversione delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e della differenza vista come ostacolo; e nello stesso tempo alimenta tutto questo...
Dobbiamo perseguire una reale fratellanza, basata sulla comune origine da Dio ed esercitata nel dialogo e nella fiducia reciproca.
Il desiderio di pace è profondamente inscritto nel cuore dell’uomo e non dobbiamo rassegnarci a nulla che sia meno di questo.

Dal messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della LIII giornata mondiale della pace

 

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Presepio Post Natale 2019

Nelle settimane di questo Avvento abbiamo dato a tutti i ragazzi una statuina del presepe (Magi e stella), invitandoli a costruire un presepe “mobile” da portare in chiesa parrocchiale il 29 dicembre, per la messa delle 10.30. Ma non vogliamo rinunciare a vedere insieme i presepi più grandi che si preparano nelle nostre case o negli spazi comunitari.

Ecco allora l’iniziativa Presepio Post Natale 2019:
Scatta alcune fotografie al tuo presepio o a quello di amici e familiari, e inviale a #Palapresepio2019 
le potrai così condividere con tutti tramite il sito www.oratoriopalazzago.it

Il 6 gennaio, dopo la messa delle 10.30, saranno anche proiettate e premiate, insieme a quelle dei presepi mobili portati in chiesa.
Non perdere l’occasione di tramandare l’amore per il Presepio!!!

 

letterina 20191222 - Sono un essere umano

Sono un essere umano

The Elephant Man è uno straordinario film del 1980, regia di David Lynch. È volutamente girato in bianco e nero, per richiamare l'atmosfera della Londra ottocentesca. Racconta la vera storia di John Merrick “l'uomo elefante”: nato sano, viene colpito nei primi anni di vita dalla rarissima e devastante sindrome di Proteo, che forza il suo corpo a deformazioni orrende e sconce. Al cuore del racconto c'è una scena memorabile: la corsa attraverso la stazione di Londra, dove John cerca rifugio, zoppicando, il volto stravolto, esposto allo sguardo umiliante della gente. Scappa perché inseguito: è tormentato dai ragazzini che lo prendono di mira, dalla folla inviperita, perché nella sua claudicante angoscia ha travolto una bambina. Braccato nei bagni della stazione, si gira e ulula alla folla: «lo non sono un elefante! Non sono un animale! Sono un essere umano! Un uomo ... » Un grido disperato consegnato al mondo, prima di scivolare a terra svenuto. Nella vicenda di John è il medico Treves a prendersi cura di lui: prima per curiosità scientifica e poi per sincera amicizia, riconoscendo, sotto la crosta dell’orrenda deformità, il bisogno di essere riconosciuto e la fiamma di calore.

Antoine de Saint-Exupéry, nella sua Lettera a un ostaggio, riflette:
C'è innanzitutto nell'uomo un desiderio indistinto di un certo calore. Poi l'uomo, a forza di sbagliare, scopre la strada che porta fino al fuoco. [ ... ] Forse è per questo, amico mio, che ho tanto bisogno della tua amicizia. Ho sete di un amico che rispetti in me [. .. ] il pellegrino di quel fuoco. ... Io che provo, come tutti, il bisogno di essere riconosciuto... ti sono grato perché mi accogli così come appaio: che me ne faccio di un amico che mi giudica? Ospitando un amico alla mia tavola lo prego di sedersi, se zoppica, e non gli chiedo di ballare.

John Merrick non guarirà mai dalla sua deformità. Morirà a Londra nel 1890, a ventisette anni di età. Morirà malato ma salvo, nutrito dall'amicizia di Treves e di tanti altri. In una delle ultime scene del film, nella sua stanzetta, John parla con il dottore: «Sono felice ogni ora del giorno, amico mio. Anche se dovessi sapere di morire domani. La mia vita è bella, perché so di essere amato. Io sono fortunato. E non potrei dirlo se non fosse per te... Amico mio, amico mio ... » E si capisce che in questa parola ripetuta John sta nutrendo entrambi. Stanno vivendo un’amicizia che li salva. Mentre John si consegna sereno e consapevole al suo sonno misterioso e definitivo, sentiamo la voce della madre recitare una poesia di Tennyson:
Mai. Oh, mai. Niente morirà mai. L'acqua scorre. Il vento soffia.
La nuvola fugge. Il cuore batte ... Niente muore.

Buon Natale in Colui che ama ogni uomo.

I sacerdoti della Comunità

 

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Presepio Post Natale 2019

Nelle settimane di questo Avvento abbiamo dato a tutti i ragazzi una statuina del presepe (Magi e stella), invitandoli a costruire un presepe “mobile” da portare in chiesa parrocchiale il 29 dicembre, per la messa delle 10.30. Ma non vogliamo rinunciare a vedere insieme i presepi più grandi che si preparano nelle nostre case o negli spazi comunitari.

Ecco allora l’iniziativa Presepio Post Natale 2019:
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letterina 20191215 - Lo scandalo del Natale

Lo scandalo del Natale

La rubrica “Verso l’alt(ro)” offre ogni settimana su santalessandro.org alcuni spunti di meditazione, preparati da un gruppo di giovani collaboratori dell’Ufficio diocesano Tempi dello spirito. Riportiamo quello del 13 dicembre

Vero Dio, vero uomo.
E Tu degnasti assumere
questa creata argilla?
Qual merto suo, qual grazia
a tanto onor sortilla
se in suo consiglio ascoso
vince il perdon, pietoso
immensamente Egli è.
Manzoni, Natale

[E tu ti sei degnato di assumere
l’aspetto di questa argilla, da Te creata?
Quale merito suo
la portò a un così grande onore?
Se nel cuore imperscrutabile di Dio
ha vinto il perdono,
Lui è immensamente buono.]

Non dimentichiamoci lo scandalo del Natale. Perché quello che Dio ha fatto è, semplicemente, scandaloso. Mai si era immaginato che colui che è immenso, infinito, eterno, pensasse di diventare uomo. E tutto ciò per amore, non di certo per merito nostro. Dovrebbe suonarci come una bestemmia! Dio che si abbassa al livello di una sua creatura, anzi, di qualcosa che è stato creato dall’argilla, dal fango. Dio che decide di farsi presenza fisica, palpabile, corporea, per l’uomo. Spesso ci dimentichiamo di credere con il corpo. Pensiamo che la nostra fede si limiti alle parole, alla speculazione. Confondiamo la fede con la filosofia e ci riempiamo di chiacchiere vuote.
Ma questa è una fede dimezzata! Il Natale deve dirci che Dio è corpo, è presenza: non è lontano, è vicino, in mezzo a noi!
Guareschi, in Giallo e Rosa, racconta di quando l’ateo e comunista Peppone, distrutto da alcuni fatti avvenuti nel paese, si rivolge al parroco don Camillo, per avere conforto. Manca poco al Natale e don Camillo, impegnato a ridipingere le statue del presepe, gli propone di dipingere il Bambino. Peppone, riluttante, accetta. Scrive Guareschi: Ormai il Bambinello era finito. Peppone lo guardò e gli parve di sentir sulla palma della mano il tepore di quel piccolo corpo. […] E dimenticò tutti i problemi. […] Uscendo, si ritrovò nella cupa notte padana, ma ormai era tranquillissimo perché sentiva dentro di sé quel tepore.
Noi sappiamo ancora sentire Dio con il corpo? Sappiamo ancora emozionarci quando avvertiamo la sua presenza? Ci facciamo cambiare le giornate dal suo abbraccio, come Peppone, o facciamo della preghiera una mera chiacchierata?
E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l’ora su macchine a razzo superatomico per far cosa? Per arrivare in fondo all’anno e rimanere a bocca aperta davanti al tepore dello stesso Bambinello di gesso che, questa sera, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino.

 

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Presepio Post Natale 2019

Nelle settimane di questo Avvento abbiamo dato a tutti i ragazzi una statuina del presepe (Magi e stella), invitandoli a costruire un presepe “mobile” da portare in chiesa parrocchiale il 29 dicembre, per la messa delle 10.30. Ma non vogliamo rinunciare a vedere insieme i presepi più grandi che si preparano nelle nostre case o negli spazi comunitari.

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letterina 20191208 - Praesepium, mangiatoia

Praesepium, mangiatoia

“Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia”: inizia così la Lettera apostolica Admirabile signum sul significato e il valore del presepe, che Papa Francesco ha firmato nella prima domenica di Avvento, a Greccio.
Il Papa, rievocando le origini della rappresentazione della nascita di Gesù, sottolinea l’etimologia latina della parola: “praesepium”, cioè mangiatoia, e cita Sant’Agostino che osserva come Gesù, “adagiato in una mangiatoia, divenne nostro cibo”. E ricorda il presepe vivente voluto da San Francesco a Greccio nel Natale del 1223, che riempì di gioia tutti i presenti: “San Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di evangelizzazione. Il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità”. “Rappresentare l’evento della nascita di Gesù - si legge nel testo - equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia”. “Mentre contempliamo la scena del Natale siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui. Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze... È davvero un esercizio di fantasia creativa, che impiega i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza. Si impara da bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare. Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata”.
Il presepe - continua il Papa - “suscita tanto stupore e ci commuove” perché “manifesta la tenerezza di Dio” che “si abbassa alla nostra piccolezza”, si fa povero, invitandoci a seguirlo sulla via dell’umiltà per “incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi”.
In Comunità vivremo la novena al Natale con il testo di questa lettera.
Nel frattempo, ai ragazzi viene affidata ogni settimana una statua dei magi, da aggiungere a quelle dello scorso anno per allestire un presepe che verrà portato in chiesa il 29 dicembre. Ne potremo ammirare molti, ma speriamo che molti altri siano costruiti nelle case. E non solo.

 

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Presepio Post Natale 2019

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letterina 20191201 - Esperar

Esperar

L'avvento è l'attesa di Dio, del Re ch'è morto amando.
Da quel sospiro, si è diventati un po' tutti mendicanti di bellezza: l'uomo diventa cercatore di felicità. "Siamo in attesa del Dio-Bambino" vanno ripetendosi quaggiù lungo le quattro settimane d'Avvento. L'atteso è il soprannome col quale hanno imparato a chiamare il loro Dio: l'Atteso delle genti.
Questo, però, è l'Avvento più semplice: Dio manterrà le sue promesse, Fedele è il suo nome. L'attesa più complicata è l'altra: l'attesa che vive Dio.
Il periodo d'Avvento della Santissima Trinità: "Siamo in attesa dell'uomo. Che l'uomo accetti d'essere amato". La notizia certa di colui che ama è quella d'essere disposto ad amare ad oltranza, fin quasi a giocare in perdita, perché non è certo che l'amato accetterà d'essere protagonista di una simile avventura di grazia, di gratuità. Nemmeno Dio è così sicuro che l'uomo s'accorga del suo passaggio, del suo farsi assaggio di eterno nel tempo. Siccome è già capitato ai tempi di Noè, sarà più facile che accada di nuovo piuttosto che se non fosse mai accaduto.
Non facevano nulla che fosse male: consumavano, bevevano, si maritavano tra loro (liturgia di questa prima domenica di Avvento). E' l'elementare della vita. A castigare la loro attesa non fu un male fatto, ma che non fecero ciò che era per loro il bene, quello massimo: l'accorgersi di Dio, d'essere nell'interesse di Dio. Che Dio si stava interessando di loro.
Capiterà ancora: a Betlemme Lui passa ma non s'accorgono nemmeno, in Galilea predica e raddrizza gli arti ma non gli danno la pur minima fiducia, dalla Croce inaugura la Redenzione e sotto continuano a giocare a dadi. Sempre così: Lui passa-ripassa, loro s'appisolano, si distraggono fin quasi a prendere sonno e perdersi l'appuntamento clou.
Dio è in attesa dell'uomo: gli sta a cuore, non riesce più a prendere sonno finché l'uomo non è entrato dalla porta-di-casa-sua, il suo cuore s'agita in mille tormenti, non trova pace né tregua. Han detto che Dio è inutile all'uomo, che la sua è una passione-noiosa, che anche Dio è un oggetto tra gli altri, un oggetto inutile: a me, degli oggetti inutili, affascina da sempre la capacità che hanno d'aspettare il loro turno. Dio è inutile all'effimero dell'uomo: attende il suo turno, d'entrare in gioco quando l'uomo, tradito dall'effimero, chiamerà l'eterno. La fibrillazione di Dio ha a che vedere con l'attendere: "Se è in grado d'aspettarti, ti ama" ho letto sui jeans di una ragazza che viaggiava in aereo. E' stato il Buon-Avvento recapitato al mio indirizzo. Sarà per questo che per gli spagnoli aspettare è esperar: in fondo, aspettare è anche sperare. Che il Dio-Bambino ri-nasca, che l'uomo si decida a ritornare verso casa: che il mondo ritrovi la pace perduta.

Buon Avvento

 

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Presepio Post Natale 2019

Nelle settimane di questo Avvento abbiamo dato a tutti i ragazzi una statuina del presepe (Magi e stella), invitandoli a costruire un presepe “mobile” da portare in chiesa parrocchiale il 29 dicembre, per la messa delle 10.30. Ma non vogliamo rinunciare a vedere insieme i presepi più grandi che si preparano nelle nostre case o negli spazi comunitari.

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letterina 20191124 - L’orologio

L’orologio

Un anziano incontra un giovane che gli chiede:
- Si ricorda di me? E il vecchio gli dice di no.
Allora il giovane gli dice che è stato il suo studente. E il professore gli chiede:
- Ah sì? E che lavoro fai adesso?
Il giovane risponde: Beh, faccio l’insegnante.
- Oh, che bello come me? gli ha detto il vecchio
- Beh, sì. In realtà, sono diventato un insegnante perché mi hai ispirato ad essere come te.
L'anziano, curioso, chiede al giovane di raccontargli come mai. E il giovane gli racconta questa storia:
- Un giorno, un mio amico, anch'egli studente, è arrivato a scuola con un bellissimo orologio, nuovo e io l’ho rubato. Poco dopo, il mio amico ha notato il furto e subito si è lamentato con il nostro insegnante, che era lei. Allora, lei ha detto alla classe:
- L'orologio del vostro compagno è stato rubato durante la lezione di oggi. Chi l'ha rubato, per favore, lo restituisca. Ma io non l'ho restituito perché non volevo farlo. Poi lei hai chiuso la porta e ci ha detto a tutti di alzarci in piedi perché avrebbe controllato le nostre tasche una per una. Ma, prima, ci ha detto di chiudere gli occhi. Così abbiamo fatto e lei ha cercato tasca per tasca e, quando è arrivato da me, ha trovato l'orologio e l'ha preso.
Hai continuato a cercare nelle tasche di tutti e, quando ha finito, ha detto:
-Aprite gli occhi. Ho trovato l'orologio. Non mi ha mai detto niente e non ha mai menzionato l'episodio. Non ha mai fatto il nome di chi era stato quello che aveva rubato. Quel giorno, lei ha salvato la mia dignità per sempre. È stato il giorno più vergognoso della mia vita. Non mi hai mai detto nulla e, anche se non mi ha mai sgridato né mi ha mai chiamato per darmi una lezione morale, ho ricevuto il messaggio chiaramente. E grazie a lei ho capito che questo è quello che deve fare un vero educatore. Si ricorda di questo episodio, professore?
E il professore rispose:
-Io ricordo la situazione, l'orologio rubato, di aver cercato nelle tasche di tutti ma non ti ricordavo, perché anche io ho chiuso gli occhi mentre cercavo.
Questo è l'essenza della decenza. Se per correggere hai bisogno di umiliare, allora non sai insegnare.

Anonimo.

Dalla “cattedra” della Croce Cristo Re non umilia: salva!

 

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