letterina 20170507

L’unico estremismo: la carità

Ai 25mila fedeli provenienti da tutto l’Egitto e sistemati sugli spalti dell’“Air Defense Stadium”, lo stadio dell’aeronautica militare, Papa Francesco nella celebrazione dell’unica messa del breve viaggio nella capitale egiziana, ha lanciato un forte messaggio.
Nel Paese a stragrande maggioranza islamica, i cattolici sono poco meno di 300mila, un’esigua minoranza all’interno della minoranza copto-ortodossa che pure conta circa 12 milioni di fedeli: “Dio gradisce solo la fede professata con la vita, perché l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità! Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui!”.
Un “messaggio” che acquista rilievo particolare perché lanciato in una terra dove il terrorismo ha messo da tempo, ormai, i cristiani nel mirino, vittime di una lunga scia di attentati che hanno provocato decine e decine di morti. La strada indicata dal Pontefice è lastricata di carità e perdono:
“La fede vera è quella che ci rende più caritatevoli, più misericordiosi, più onesti e più umani; è quella che anima i cuori per portarli ad amare tutti gratuitamente, senza distinzione e senza preferenze; è quella che ci porta a vedere nell’altro non un nemico da sconfiggere, ma un fratello da amare, da servire e da aiutare; è quella che ci porta a diffondere, a difendere e a vivere la cultura dell’incontro, del dialogo, del rispetto e della fratellanza; ci porta al coraggio di perdonare chi ci offende, di dare una mano a chi è caduto; a vestire chi è nudo, a sfamare l’affamato, a visitare il carcerato, ad aiutare l’orfano, a dar da bere all’assetato, a soccorrere l’anziano e il bisognoso. La vera fede è quella che ci porta a proteggere i diritti degli altri, con la stessa forza e con lo stesso entusiasmo con cui difendiamo i nostri. In realtà, più si cresce nella fede e nella conoscenza, più si cresce nell’umiltà e nella consapevolezza di essere piccoli”.
Una vera e propria esortazione a non chiudersi in se stessi a causa delle difficoltà presenti che interpella tutti i cristiani del Medio Oriente. Concetti ribaditi anche nel pomeriggio, durante l’incontro con clero, seminaristi, religiosi e religiose, oltre 1.500, radunati nel seminario maggiore copto di al Maadi. “Non abbiate paura del peso del quotidiano, del peso delle circostanze difficili che alcuni di voi devono attraversare. Noi veneriamo la Santa Croce, strumento e segno della nostra salvezza.Chi scappa dalla Croce scappa dalla Risurrezione!”.
“Il Buon Pastore ha il dovere di guidare il gregge. Non può farsi trascinare dalla delusione e dal pessimismo”.

    Scarica qui la Lette...Rina

   Ascolta le Omelie in Parrocchia

letterina 20170430

Maschio e femmina li creò...

Il testo biblico della Genesi non parla di "uomo e donna", bensì di "maschio e femmina".
Questo è un dettaglio importante, poiché suggerisce che la realtà ontologica del "uomodonna" ha bisogno di scaturire dal "maschio-femmina" e non è considerata come un elemento dato, ma deve emergere da una singolare elaborazione della differenza tra maschio e femmina. Noi siamo in realtà maschi e femmine, come la natura ci ha creati. Per diventare uomo e donna cresciamo lungo un percorso che solo il genere umano è in grado di compiere e che dipende da aspetti culturali, ambientali, relazionali, ecc. La genesi ci invita, quindi, a considerare che la differenza dei sessi nella pienezza della sua realtà antropologica, implica un processo ed una elaborazione.
Come dice Jacques Maritain, "il sesso fonda soltanto la differenza animale, per quanto importante ed immediatamente evidente possa essere, ma non fonda le differenze propriamente umane tra l'uomo e la donna".
Nel contesto attuale l’accoglienza delle differenze sembra a rischio, minacciata da una prepotente tendenza all’omologazione, persino tra uomo e donna. Lo stesso papa Francesco ci invita a non rimuovere le differenze, oggi messe in discussione da alcuni sviluppi degli “studi di genere” comunemente indicati come “teoria del gender”.
Questa sostiene che non esistono differenze biologiche tra femmine e maschi, essendo la femminilità e la mascolinità costruzioni culturali indotte, dalle quali bisogna liberarsi per stabilire una autentica uguaglianza tra gli essere umani. In quest’ottica, la parola gender va contrapposta alla parola sesso, che si riferisce, invece, alle differenze biologiche tra maschi e femmine. In altri termini, nella coppia sesso-genere, il primo indica la contrapposizione tra l’anatomia dell’uomo e della donna (sesso), mentre il secondo riguarda i costumi, i compiti ed i ruoli che vengono attribuiti al maschile e al femminile (genere).
Nel dibattito sulla teoria del gender, si contrappongono spesso un riferimento fissista alle differenze dei sessi, date come elementi rigidi, ed un riferimento “liquido” che si traduce nell’indeterminata trasformazione di una base corporea sempre da riscrivere.
I sostenitori della teoria del gender oppongono frontalmente natura e cultura, tolgono al corpo la sua consistenza, negano la differenza sessuale a vantaggio di un costruttivismo. Nella prospettiva di quest’insieme di teorie, le identità sessuali si riducono ad essere mere convenzioni culturali, dunque arbitrarie e quindi revocabili e la pretesa dell'uomo ad autodeterminarsi si scontra con il corpo sessuato, indice assoluto della nostra finitudine...
Il dibattito è dunque aperto e ci fa percepire l’urgenza di un’antropologia che integri tutte le dimensioni costitutive dell’essere umano: il corpo, la psiche, la società, la cultura e, soprattutto, la libertà come regista. Ma è necessario ricordare che la libertà diventa costruttiva quando è unita alla responsabilità: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati alla libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l'amore siate invece a servizio gli uni degli altri” (Gal 5, 13).

    Scarica qui la Lette...Rina

   Ascolta le Omelie in Parrocchia

letterina 20170423

Morti ambulanti...

Nel Credo, proclamiamo: “Aspetto la risurrezione dei morti”, ovviamente pensiamo alla risurrezione dei nostri corpi all’ “ultimo giorno”, secondo la promessa di Gesù (Gv 5, 28) ribadita più volte da S. Paolo (Rm 8,11…). Ma c’è una promessa di Dio già nell’A. T. a cui dobbiamo pure prestare attenzione, anche se non riguarda la risurrezione dei corpi.
Dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio... Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete... L’ho detto e lo farò”. (Ez 37,12-14).
Sono parole che riguardano la liberazione del popolo dalla schiavitù, dalla perdita della propria dignità, dalla morte civile e spirituale. Riguardano tutte quelle persone che sono morte ancora prima di morire, morte dentro, persone anche giovani che non attendono niente, senza speranza, perché non hanno nessuna fede.
È un tema che sta molto al cuore al Papa soprattutto in riferimento ai giovani. Alla Gmg di Cracovia, il 28 luglio del 2016, ha ripetuto: “Mi addolora incontrare giovani che sembrano pensionati prima del tempo”. E, con animo accorato, si è rivolo a loro direttamente: “Non gettate la spugna prima di iniziare la partita!“. Francesco stesso spiega che, quando parla così, ha in mente i giovani “essenzialmente annoiati”, quelli che “camminano con la faccia triste, come se la loro vita non avesse valore”, quelli che vanno alla ricerca della “vertigine alienante” o di quella “sensazione di sentirsi vivi per vie oscure che poi finiscono per pagare e pagare caro”. In una parola che ha in mente gli zombi, i morti ambulanti.
Ma il Papa non ha presente solo i giovani. La nostra civiltà, così salutista e vitalista, è in realtà tutta intrisa di sintomi di morte. Francesco ne segnala con insistenza la causa. Gesù ci aveva detto che non si può servire Dio e il denaro. C’è qualcosa tra questi due che non va... che ci allontana da Dio. E, citando S. Paolo (1Tm 6, 2-12) ha detto: Quelli che vogliono arricchirsi cadono nella tentazione dell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. Il Papa si riferiva a quanti dicono di essere cattolici perché vanno a messa, ma “sotto sotto fanno gli affari loro” e ha ricordato che S. Paolo definisce questi cristiani: Uomini corrotti nella mente»! Il verbo corrompere indica, tra l’altro, proprio la decomposizione dei cadaveri.
Capiamo bene perciò che cosa vuol dire il Papa quando afferma: Gesù si è privato della vita per liberare dalla corruzione. Il tempo di Pasqua ci chiama a risorgere da questa corruzione e ad incamminarci sulla strada della vita.

    Scarica qui la Lette...Rina

   Ascolta le Omelie in Parrocchia

letterina 20170416

“Senza la Pasqua non possiamo!”

La Domenica delle Palme è chiamata anche “di passione” perché apre le liturgie della settimana santa, culminanti nella notte pasquale: raramente tale titolo è stato di così tragica pertinenza come Domenica scorsa a Tanta e Alessandria d’Egitto.
Da tempo i copti in Egitto sono vittime di ripetute violenze e stragi: tensioni e conflitti, soprattutto nelle zone rurali, sono esacerbati dall’elemento religioso e conducono a distruzioni di luoghi di culto e a vessazioni e minacce; una vera e propria caccia all’uomo, e ai presbiteri in particolare, è in atto nella penisola del Sinai, obbligando intere famiglie a fuggire verso Ismailia e altre città nei pressi del canale di Suez; mentre negli ultimi tre anni attentati nei luoghi di culto in occasione delle maggiori feste cristiane, quando più numerosa è la partecipazione dei fedeli, hanno colpito famiglie intere, specialmente donne e bambini. Nonostante queste stragi e le perduranti minacce, i copti non rinunciano a testimoniare la loro fede anche pubblicamente, comunitariamente: non smettono di ritrovarsi in chiesa, di mandare i bambini a catechismo, di tatuare sulla pelle il segno della croce, di proclamare apertamente la loro fede. Incoscienza? Volontà di sfida? Vocazione al suicidio di massa? Niente di tutto questo. Solo la ferma, risoluta consapevolezza che, come dicevano i martiri cristiani durante la persecuzione di Diocleziano, “senza la domenica non possiamo!”, non possiamo essere quello che siamo, non possiamo vivere la nostra fede, non possiamo concepire il nostro futuro, non possiamo dirci discepoli del Signore.
Celebrare comunitariamente la Pasqua – e quella “pasqua settimanale” che ricorre ogni domenica – per il cristiano non è una ricorrenza tra le altre, una commemorazione da viversi o meno a seconda di come consiglia la prudenza: si tratta di proclamare la ragione che il credente ha per vivere, quella ragione che lo porta anche ad accettare l’eventualità della morte violenta.
In occasione dei tragici, ripetuti attentati nelle città del nostro occidente, sentiamo ripetere con convinzione il risoluto appello a continuare la nostra vita quotidiana nella convivenza civile: continuare a lavorare, a divertirci, a viaggiare, a incontrarci, a godere di quella libertà per la quale tanti nel secolo scorso hanno pagato un prezzo altissimo.
Ecco, i copti ci ricordano che questo è altrettanto vero e decisivo anche per la vita di fede: nonostante tutto, nonostante la morte in agguato, continuare a fare ciò in cui si crede, a pregare insieme, a celebrare insieme gioie e dolori della vita, a trasmettere ai propri figli le parole e gli insegnamenti che si ritengono portatori di vita e di bene. Così i sempre più numerosi martiri della chiesa copta ci ricordano che ci sono ancora uomini e donne fedeli alla loro testimonianza di vita cristiana e a celebrare insieme la Pasqua, vittoria sulla morte e sull’odio.

Buona Pasqua da credenti
don Giampaolo, don Roberto, don Paolo e don Giuseppe

    Scarica qui la Lette...Rina

   Ascolta le Omelie in Parrocchia

letterina 20170409

Passio secondo Matteo

Come ogni anno ci introduciamo alla grande settimana santa con la Domenica delle Palme, leggendo la passione del Signore. Quest’anno il racconto è dell’evangelista Matteo. Come si sa, i vangeli cosiddetti “sinottici” (Matteo, Marco e Luca) hanno buona parte del loro materiale narrativo in comune. Ma ciascuno di loro ha qualcosa di proprio, che non si trova negli altri due.
Oltre ad alcuni particolari, Matteo racconta, lui da solo, la morte di Giuda, il traditore. Racconta poi il particolare che, dopo la risurrezione di Gesù, i sepolcri si aprono e i morti risorgono e appaiono a Gerusalemme. Infine, è solo di Matteo il particolare delle guardie incaricate di custodire il sepolcro di Gesù.
Si potrebbe dire che Matteo sente con forza il dramma del rifiuto. Giuda è il traditore: consegna Gesù per trenta denari. Ma non solo. Consegna se stesso alla morte, in preda al rimorso. Non riesce a uscire dal suo mondo cupo e vi sprofonda dentro. È la tragedia della solitudine. Solo, prima, rispetto a tutti gli altri discepoli, solo, dopo, con i capi religiosi ai quali ha consegnato Gesù. Di fronte al suo rimorso quelli, infatti, gli rispondono: “A noi che importa? Pensaci tu!”. E Giuda non sa far altro che andare a impiccarsi.
Ma il rifiuto è anche degli stessi capi religiosi ed è legato alla vicenda delle guardie del sepolcro. I capi ebrei temono che i discepoli trafughino il cadavere perché Gesù ha predetto che dopo tre giorni risorgerà. Ottengono quindi da Pilato, il rappresentante di Roma, di mettere delle guardie al sepolcro. Ma quando Gesù risorge e le guardie annunciano quello che è capitato, i capi le convincono, con una buona mancia, a testimoniare il falso e a dire che i discepoli hanno trafugato il cadavere mentre loro, le guardie, dormivano.
Il Risorto lo vedono solo quelli che vogliono vederlo. Chi non vuole vederlo trova sempre motivi per trincerarsi nella propria cecità. Non c’è evidenza che tenga.
Interessante pure il particolare dei morti che risorgono: anche di questo parla solo Matteo. È evidente il senso di quel particolare. Gesù non risorge “per sé” ma per gli altri, per noi. La vittoria sulla morte tracima subito su tutti, a cominciare dai morti. Come a dire che la Pasqua incomincia là, dove nessuno avrebbe pensato che potesse arrivare: nel “regno dei morti”, nel “regno della morte”. È il simbolismo del sabato santo: la luce del risorto arriva, irresistibile, nella morte, che è la notte più profonda dalla quale l’uomo non riuscirebbe mai a uscire da solo.

    Scarica qui la Lette...Rina

   Ascolta le Omelie in Parrocchia

letterina 20170402

Che dovrei fare?

Fino a Natale, ritiro compreso, siamo arrivati con un buon numero. Poi, il calo, fino a farci chiedere negli ultimi lunedì: ”Ma dove sono?”
Sì, gli adolescenti, quelli dei gruppi del lunedì. Uno si illude che la Quaresima dica ancora qualcosa anche a loro e invece... Dove sono?
Sicuramente a studiare, ed è giusto così. Poi però si può anche aggiungere che tutti hanno fatto le superiori, alcuni anche con scuole impegnative, ma l’incontro non l’hanno mai saltato. Quindi è questione di organizzarsi?
Qualcuno agli allenamenti (e infatti alcuni di loro, verso le dieci arriva in Oratorio per concludere la serata insieme agli amici) Val sempre l’adagio “mens sana in corpore sano. Ma se l’attenzione è solo per i muscoli vien da chiedersi dove sia finita la mens...)
Altri dicono ai genitori “vado all’incontro” ma si fermano prima di arrivare in Oratorio, in altre destinazioni.
Qualcuno aspetta che sia finita la preghiera iniziale e poi si aggiunge: ancora un momento, dai, il tempo di una sigaretta. Lei almeno lascia qualche traccia (nei polmoni e nei bronchi), ma della preghiera non si sa...
Però c’è un passaparola che arriva velocissimo: iscrizioni animatori Cre e nel giro di alcuni giorni la cartelletta con i fogli si riempie.
Guardando le iscrizioni con i referenti dei gruppi ci si chiede:
Questo? Visto l’anno scorso in 3 media
Questo? All’uscita di Natale.
Questo? Una volta ad ottobre.
Questo? Non è di qui, è l’amico dell’amica.
Questo? Ha dato una mano per il carnevale.
Questo? Tutti i lunedì, all’uscita, a carnevale, alla Via Crucis...
Questo? Al lunedì c’è sempre, ma sulla panchina con cellulare e sigaretta.
Ma... li prendiamo tutti? (anche se ne basterebbe 1 per ogni 20 bambini/ragazzi - ovviamente con testa e passione)
Ogni anno ce lo chiediamo.

Geppetto direbbe: ”che dovrei fare, sono un babbo e quello è il mio figliolo. E nonostante tutto gli voglio bene e se lo avessi qui ora lo abbraccerei forte forte, lo bacerei e morirei dalla felicità.”

    Scarica qui la Lette...Rina

   Ascolta le Omelie in Parrocchia