Raccontare la fede: genialità di un linguaggio nuovo

Raccontare la fede: genialità di un linguaggio nuovo

Nell’ultima catechesi biblica con don Luciano, siamo stati catapultati nella questione di come “dire”, “parlare” e “raccontare” la fede e, tra le diverse provocazioni, c’è stata quella del linguaggio.

Sentiamo tutti il peso e il limite di un certo linguaggio “abitudinale (tradizionalista)” che oggi non comunica più la forza della fede. Ho trovato interessante, al riguardo, questo passaggio di uno scritto di papa Francesco che può aiutarci, in sinergia con le nostre catechesi:
“Come parlare di Gesù? Quale linguaggio usare? Come presentare questo “personaggio” che ha cambiato la storia del mondo? Certo, non con il linguaggio dell’abitudine. Il linguaggio della vera tradizione è vivo, vitale, capace di futuro e di poesia. Il linguaggio dell’abitudine è invece stantio, noioso, cerimonioso, ovvio. La Chiesa deve stare attenta a non cadere nella trappola del linguaggio banale, delle frasi che si ripetono in modo meccanico e stanco.
Il Vangelo deve essere fonte di genialità̀, di sorpresa, capace di scuotere nel profondo. Il peggio che possa accadere è tradurre la potenza del linguaggio evangelico in zucchero filato: attutire l’impatto delle parole, smussare gli angoli delle frasi, addomesticare il senso del discorso. Quanto sono importanti le parole! Gli artisti, gli scrittori, proprio per la natura della loro ispirazione, sono in grado di custodire la forza del discorso evangelico.
Oggi risuona nel mondo un’«eco di piombo», per usare un’espressione del poeta gesuita Gerard Manley Hopkins. Faccio un appello: in questo tempo di crisi dell’ordine mondiale, di guerra e grandi polarizzazioni, di paradigmi rigidi, di gravi sfide a livello climatico ed economico abbiamo bisogno della genialità̀ di un linguaggio nuovo, di storie e immagini potenti, di scrittori, poeti, artisti capaci di gridare al mondo il messaggio evangelico, di farci vedere Gesù̀”.

d. Angelo

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